CineArte on line 2007 - 213 - page 402

Da questo punto di vista, il ricorso alla vicenda evangelica non esprime necessariamente una
ispirazione religiosa ma semplicemente la volontà di promuovere culturalmente la nuova forma
di espressione e una “fame di racconto” che la vicenda di Gesù appagava perfettamente. E’ tato
osservato a questo proposito che «la passione è una storia fatta su misura per il cinema antico.
Una storia già nota, già scritta, che procede ellitticamente, con testi frammentari e parossisti-
ci»
3
. Questo non esclude che si possa reperire un afflato sinceramente religioso, almeno in alcu-
ne delle numerosissime opere ispirate alla vita di Gesù o ad altri episodi biblici nei primi decen-
ni del secolo scorso. Ma generalmente la sincerità dell’intenzione non garantisce la religiosità
dell’opera, e la motivazione fondamentale del genere biblico resta quella sintetizzata da Cecil
B. DeMille, autore del primo vero kolossal su Gesù (
The King of Kings
, 1927): «un film reli-
gioso non è mai stato un fallimento»
4
.
(estratto da: Davide Zordan,
Filmare l’invisibile. Linguaggio cinematografico ed esperienze
religiose,
in «Annali di Studi Religiosi» 5/2004)
La conclusione del saggio al prossimo numero
__________
3
I. Raynauld,
Les scénarios de la Passion selon Pathé
(1902-1914), in R. Cosandey, A. Goudreault e T. Gunning
(edd),
Une invention du diable? Cinéma des premiers temps et religion
, Sainte-Foy /Lausanne 1992, 95.
4
Citato da U. Brusaporco,
Le diverse “ vite filmate” di Gesù. Il sacro nell’immaginario cinematografico del primo
Novecento, in Religion Today the Cinematic View. Premio internazionale del cinema delle religioni. Catalogo
della terza edizione, 6-14 ottobre 2000,
Trento 2000, 68. Riguardo al film
Il Re dei re
, molto si parlò della leg-
gendaria capacità propagandistica di DeMille, che pare facesse celebrare la messa sul set ogni mattina, afferman-
do che fosse fonte di benedizione divina sulla produzione. Attorno poi all’attore Henry B. Warner, il suo Gesù,
egli creò ad arte una specie di aura mistica, impedendogli per contratto di apparire in pubblico durante le riprese.
Ripensando oggi a questi aspetti non si può evitare di andare col pensiero al recente
The Passion
(2003) di Mel
Gibson, la cui diffusione in sala è stata accompagnata da una massiccia campagna giornalistica a base degli stes-
si elementi: fenomeni prodigiosi avvenuti sul set, gesti di reverenza di membri della troupe al cospetto dell’atto-
re Jim Caviezel, il quale da parte sua avrebbe subito dolorose ferite durante le riprese, vivendo anche, grazie alla
partecipazione quotidiana all’Eucaristia, un cammino di vera conformazione al Cristo. Se le tecniche e il linguag-
gio hanno mirabilmente progredito, i meccanismi della propaganda cinematografica sono esattamente gli stessi
che settantacinque anni or sono! E continuano a garantire il successo. Altra cosa è poi riconoscere che ogni sacra
rappresentazione implica di per sé un impegno di configurazione al modello che tende naturalmente a diventare
un percorso interiore. Si tratta, in fondo, di una esplicitazione della spiritualità dell’
imitatio Christi
. Ora, che que-
sto processo intimo possa innescarsi anche sul set di una superproduzione, può (forse) esser bello a credersi. Ma
che una tale eventualità sia materia di propaganda per il lancio del film, svela tutta l’ambiguità del cosiddetto cine-
ma biblico, una ambiguità sempre latente ma che si manifesta appieno quando il “grande” cinema (inteso come
cinema ricco e spettacolare) e la religione si accostano.
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