tà pura, possono
legare
con queste ultime, creando un insieme vero a conferma della vecchia
regola valida sul palcoscenico, per la quale solo le finzioni che si appoggiano a vicenda pos-
sono far nascere una
verità scenica.
La seconda questione di principio che Vlad si trovò a trattare, fu quella relativa alla tipolo-
gia del commento musicale da applicare al documentario d’arte. In tal senso la dicotomia pos-
sibile riguardava la scelta tra due tipi di commento: quello che aderisce apriori – per coinciden-
za storica, temporale, di genere – alla iconografia di que-
sta o quella opera visiva; e il commento musicale che, nel
rispetto della più assoluta libertà di scelta, ne prescindes-
se, immune da pre-giudizi di sorta. Anche in tal caso,
ispirandosi ai commenti musicali applicati da Luciano
Emmer ai propri documentari giotteschi (con musiche di
Ravel, Strawinky, Prokofiev!), Vlad non mostrò alcuna
esitazione, spiegando la riuscita di
tali inverosimili amal-
gami
, da una parte con la indeterminatezza semantica
della musica (indeterminatezza che non equivale a
non
significatività
, ma ad una plurivalenza in virtù della qua-
le un Giovanni Sebastiano Bach
si poteva permettere
impunemente di
adattare
un brano della Cantata del Corpus Domini ad un Inno in onore di
un principe tedesco) e dall’altra nel fatto che gli elementi sonori e visivi […] non siano forme
e stilemi, ma i loro corollari emotivi.
Queste convinzioni di Vlad fecero scandalo al tempo della sua giovinezza; oggi sono di
dominio pubblico. La ragione va ricercata nel fatto che non sempre la verità sta nel giusto mez-
zo: ma talvolta anche agli estremi.
Marco Ovidio Giotti
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