CineArte on line 2007 - 213 - page 391

colti come ad esempio la scrittura e l’elaborazione metrica. Un lavoro di tal genere comporta
una vera e propria ricerca “sul campo”. De Simone e gli elementi del gruppo vanno, infatti, ad
indagare durante le feste popolari, a raccogliere interviste nei paesi dell’entroterra campano, a
cercare le tracce smarrite di una tradizione perduta. Contemporaneamente, la sua perizia inve-
ste i documenti della tradizione colta: materiali di biblioteca, articoli, ma anche saggi sulle
forme passate, come le
villanelle
, le
laudi
e gli
strambotti
, indispensabili al recupero ed alla
circolazione delle musiche tradizionali di area campana.
Ma Roberto non si accontenta e dopo un periodo dedicato esclusivamente all’attività musi-
cale, induce il suo gruppo ad accentuare progressivamente il carattere teatrale degli spettacoli.
Il risultato ne sarà la rilettura, nel 1974, al San Ferdinando di Napoli, della
Cantata dei Pastori
di Andrea Petrucci e, nel ’76, la messa in scena di
La Gatta Cenerentola
, da lui stesso scritta e
musicata.
Come compositore De Simone scrive fra l’altro, nel tempo a seguire, il
Requiem
in memo-
ria di Pier Paolo Pasolini (1985), l’oratorio
Lauda Intorno allo Stabat
(1985),
I Carmina
Vivianea
(1987), la
Festa Teatrale
composta per il 250º anniversario del teatro San Carlo di
Napoli (1987), il melodramma
Mistero e processo di Giovanna d’Arco
(1989), la cantata dram-
matica
Populorum Progressio
(1994), le musiche corali per l’
Agamennone
di Eschilo (1995),
Il Cunto de li Cunti
(1990),
Eleonora
, opera composta per il bicentenario della rivoluzione
napoletana (1999),
Il Re Bello,
opera (2004). Collabora anche alle musiche dell’album
Non
farti cadere le braccia
, di Edoardo Bennato.
A questo punto va detto che un profilo esaustivo, per essenziale che fosse, ci porterebbe lon-
tano. Di ben altro spazio avrebbero bisogno le regie liriche e drammatiche di De Simone nel
mondo, lo studio e le rinnovate ricerche sul campo condotte con lena instancabile, i testi e le
antologie per disco, i volumi di pregio, le attività del docente e il mestiere del capocomico di
razza. È l’ora, pertanto, di calare il sipario: chiudendosi, il cerchio ci riporta all’esordio, ai
Rituali e ai Canti campani
da cui il nostro concitato
excursus
ha preso le mosse. Lo facciamo
apponendovi un sigillo, che è inconfondibilmente suo, di De Simone, e ne traduce a guisa di
epigrafe caratteriale il singolare intreccio fra le esigenze del cuore e della mente, tra il fervore
del fare contro tutto e tutti e l’impassibile lucidità del giudicare. Scrive De Simone, e noi con
lui, riferendosi a quei gesti e a quei rit i canori e spettacolari:
quegli esecutori sono quasi tutti
defunti, né sono stati sostituiti da eredi culturali in grado di rimpiazzarne l’
interiorità religio-
sa
, l’
autorevolezza rappresentativa
, che una volta garantivano la funzionalità collettiva di
quei canti, di quelle musiche…In effetti, ciò che si è esaurito con la scomparsa di quei virtuo-
si del tamburo, della vocalità, è la
religiosità
, la loro
sacerdotale sacralità,
che determinava-
no lo Zenit del ritmo e delle modalità stilistiche: in virtù delle quali prendeva vita quel tessu-
to liturgico di dialoghi, di improvvisazioni, di linguaggi atemporali in cui si riconosceva tutta
una gente…in un presente metastorico, che inglobava il passato e si proiettava nel futuro
.
Né di ciò erano inconsapevoli quegli antichi rappresentanti della tradizione, i quali defini-
vano le feste e le manifestazioni ad esse associate come pura devozione e rilevavano che nei
giovani il movente devozionale era quasi assente, per cui la tradizione agonizzava senza pro-
spettive di continuità futura.
E la tradizione, infatti, si è spenta di colpo, come colpita al cuore da un infarto culturale,
fulminata da ischemia alle coronarie cui non giungeva più il sangue puro della collettività, cui
quelle espressione erano necessarie, come l’ossigeno a lle vie respiratorie della propria identi-
tà.
E la Campania ha perso un bene inestimabile, un’anima culturale da considerarsi patri-
monio dell’umanità: un’anima che viveva in accordo con la natura, nel rispetto degli albe-
ri, delle acque, delle lucciole, nel rispetto di quella collettività che, malgrado lo sfruttamen-
to di cui era vittima e i secolari disagi, mostrava una sua autonomia culturale di cui era fiera
e soddisfatta
.
V. D.G.
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