FILMARE L’ INEFFABILE
di Vittorio Di Giacomo
Ci consta che i più fedeli e convinti tra i nostri visitatori elettronici siano, con i fautori dei fil-
mati, i lettori dei nostri brevi saggi. A questi graditi ospiti è dedicata, nell’odierna rubrica
“Sull’immagine”
, la pubblicazione di quello che può, a più di mezzo secolo, essere considera-
to tutt’ora il manifesto del film sull’arte, già dato per disperso, di Giulio Carlo Argan, geniale
divulgatore e critico delle arti visive e, nella fattispecie, del cinema visto come mezzo ideale
d’interpretazione ed esecuzione dell’opera d’arte a livello alto, medio, di massa.
Alla lucidità appassionata di Argan fa riscontro negativo, oggigiorno, la miopia non sai più se
giovanile o senile, dei troppi, negligenti eredi
snob
di quello che fu, per prestigio e qualità, fra
i culti di una informazione dell’arte d’impianto giornalistico e letterario, che si fregiava dei
nomi di Emilio Cecchi, di Berenson, di Toesca, di Adolfo e Lionello Venturi, Longhi, Brandi e
quant’altri, storici insigni.
Lo scarto d’immagine e di sostanza è più o meno diffuso ovunque, ma è tanto più grave in un
paese come l’Italia, che una retorica pari alla malafede promuove ancora oggi
leader
delle arti
nel mondo, da fruire e godere (con significative ricadute economiche, per giunta) ma non più
da tutelare e conservare. E non dà segni di equilibrio neppure lo stupore apparente di una cro-
naca giornalistica che corteggia per amore dello
scoop
le più clamorose e bizzarre operazioni
del mercato dell’arte. Un mercato che, data la diffusa carenza di principii etici ed estetici fermi
e condivisi, e stante l’automatica abiura dell’idea di forma a favore dell’idea di flusso, ha opta-
to (di qua o di là dall’arte, è difficile dire) per la prassi del più sensazionale e stravagante dei
collezionismi speculativi.
Una condizione, questa, che non risparmia neppure l’arte di soggetto sacro, che è tale anzitut-
to per motivi liturgici, catechetici e pastorali: un’arte che non può subire senza appropriata rea-
zione l’oscura minaccia e il danno certo che le verranno dalla automatica, desolante spersona-
lizzazione delle opere, spogliate di ogni riflesso d’anima e di natura - di ogni orizzonte di senso
che le trascenda - promossa dalla vertiginosa ascesa delle neo-tecnologie d’avanguardia: dalla
sfrenata volontà di potenza che le pervade.
Con tanto maggior senso di conforto e di speranza ci è dato a tal punto presentare e commen-
tare in breve, ma convintamente, una iniziativa che suonerà nuova per i più, ma nuova non è,
se non per essere stata ignorata puntualmente. Essa ruota in materia d’ arte sacra attorno al sug-
gestivo logo
“filmare l’ineffabile”
. Un enunciato che sottintende il proposito, in arte, di anda-
re oltre il guscio dell’immagine percepita, per sfondare - con il cinema - nell’indefinito mare,
appunto, dell’immaginario che sottende e sovrasta la forma attinta sensorialmente: il mare della
trascendenza, qual è dato all’essere umano esperire.
“Filmare l’ineffabile”
: alla lettera, col linguaggio del cinema. Ma si badi: a patto di non inten-
dere il linguaggio come una semplice astrazione aritmetica regolabile concettualmente. Bensì,
sempre e comunque, in quanto frutto spontaneo necessario di un processo sensibile di natura
spirituale. Un processo che non possa essere gestito con norme e artifizi grammaticali o sintat-
tici, ma solamente orientato in radice, agendo sull’animo dell’artista virtuale in un ambito cul-
turale antropologicamente predisposto. Un ambito che sia sensibile alla qualità delle emozioni
e dei sentimenti, fertile di immagini prese nella loro scorza percettiva, atto a porre in intima
relazione, immaginosamente, passato, presente e futuro. Il ridestare la memoria dell’arte svol-
tasi nei secoli ne sarà l’alimento: un’arte debitamente storicizzata e contestualizzata però, così
da ricomporre in sintonia l’emozione estetica odierna, vissuta dal lettore, con quella nativa e
originaria dell’autore.
Tutto ciò è relativamente facile da dire, molto meno da fare. L’Università messicana di
Guadalajara, che sotto lo sguardo attento del
Pontificio Consiglio della Cultura
e l’iniziale
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