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La prima cosa da precisare sarà allora che il giudicare e il definire un’opera
d’arte originale – come pure il film che la interpreta – sulla scorta soltanto della
formale, dichiarata
sacralità
del “soggetto”, non garantisce il carattere religioso
del prodotto, quand’anche il tema ne sia stato desunto dalle fonti più accreditate,
quali potrebbero essere le Sacre Scritture, l’agiografia, la storia della Chiesa.
Il parlare di “soggetto” è infatti una circostanza ancora contingente, essendo il
soggetto in sé, allo stato
informe
iniziale, artisticamente irrilevante. Solo assu-
mendo in corso d’opera fattezze sempre più nitide e coerenti, che siano espres-
sione del personale
modo di formare
dell’artista, il “soggetto” potrà vantarsi di
essersi trasformato, da inerte materia virtuale, nel testo vero e proprio di una
“forma artistica”.
Soltanto allora la condizione sacrale, intesa come realtà oggettiva (istituzionale),
o la condizione religiosa, da intendersi qui come fede personale dell’artista e bi-
sogno suo di trascendenza, potranno da virtuali che erano, rendersi attuali, per-
meando la forma artistica della loro
presenza.
Che cosa dire, in tal caso, di un soggetto “sacro”, formulato così da promuovere,
nell’artista, uno stimolo all’origine informe, ma suscettibile per ragioni oggetti-
ve e soggettive d’essere investito di energia formativa, e atteggiato in vista di un
traguardo d’arte? Che cosa dire, se non che esso, nel suo limite naturale, è pur
tuttavia in grado di destare aneliti impensati, suscitando nella sensibilità spiritua-
lizzata dell’artista, l’ansia di una “Forma” virtuale, da intuire al di là della forma
visibile: specchio del divino.