non possiamo non dirci «abitanti digitali»
.
Tutto ciò, evidentemente, non cancella le domande fondamentali dell’uomo, anzi le rende
sotto alcuni aspetti più urgenti; in tal senso sono di riferimento le suggestive parole di
Benedetto XVI pronunciate in occasione dell’udienza di mercoledì 11 maggio:
L’uomo digita-
le come quello delle caverne, cerca nell’esperienza religiosa le vie per superare la sua finitez-
za e per assicurare la sua precaria avventura terrena
. Ne deriva che la Chiesa, attenta da sem-
pre a ciò che l’uomo vive, deve cercare di capire i cambiamenti in atto e “abitare” il nuovo
ambiente.
Abitare
è perciò la parola-chiave di questi incontri che, come afferma Don Ivan
Maffeis, Vicedirettore dell’Ufficio Nazionale (che con sapiente maestria e simpatia ha modera-
to le giornate del convegno)
è sinonimo di casa,
ambito delle relazioni sociali primarie, con-
dizione di sicurezza e di pace. Assicurare una dimensione umana all’abitare significa tenere
insieme l’esigenza di strutture, di servizi e di spazi ampi con il bisogno di riservatezza e di inti-
mità
. Ma il verbo
abitare
può essere coniugato anche come
risposta da cui emerge «l’aver
cura» di ciò che ci è stato affidato
. Per poter quindi abitare un ambiente, occorre conoscerlo
familiarizzandosi con le caratteristiche antropologiche, sociali e culturali che lo delineano.
In tale contesto sono importanti i risultati della ricerca
Identità digi-
tali: la costruzione del sé e delle relazioni tra
online
e
offline, appo-
sitamente commissionata dalla CEI, presentata durante la seconda
giornata dei lavori dalla sociologa Chiara Giaccardi, dell’Università
Cattolica di Milano, che ha coerentemente definito il
web
come luogo
di
opportunità pastorali
inedite, purché si accetti la sfida di passare
dalla connessione alla riflessione.
Le generazioni digitali,
ha aggiun-
to,
sono alla costante ricerca di relazioni e tutt’altro che chiuse alla
dimensione religiosa o al trascendente. Ma servono interlocutori cre-
dibili e affidabili: infatti i messaggi,
ribadisce la Giaccardi,
non con-
tano per la loro naturale portata, ma giungono a destinazione quan-
do sono mediati da figure carismatiche che vengono percepite dai
ragazzi e che godono della loro fiducia
. Tali aspetti, emersi dalla
ricerca, devono spingere all’approfondimento e alla riflessione: per
esempio riguardo alla trasformazione in verticale del carisma, in un mondo orizzontale come
quello della rete.
La verticalità, come sappiamo, non fa parte del
web,
che è governato da rapporti alla pari
e, per ciò stesso – ribadisce Mons. Pompili – è importante
l’autorevolezza di chi parla con cre-
dibilità
. Tema, questo, basilare soprattutto oggi dal punto di vista dell’etica della comunicazio-
ne, ma fondamentale anche dal punto di vista pastorale.
La vera sfida
– sostiene Mons. Pompili
–
è oggi quella della trascendenza: essere pienamente
dentro
, ma affacciati su un
altrove
, esse-
re “nel web”, ma non “del web”. La rete rende possibile un’orizzontalità certamente prezio-
sa, ma insufficiente. È la verticalità che buca la rete e restituisce all’orizzontalità il suo signi-
ficato pieno e umanizzante
.
In concreto, a chiusura dei lavori, Mons. Pompili ha riproposto la metafora del campani-
le ed ovviamente, della sua campana:
Come la campana buca la coltre dell’indifferenza con il
suo suono che evoca spiritualità ed introduce un elemento verticale che conduce a Dio, così
siamo chiamati ad essere persone trasparenti, che siano una affidabile risonanza del Vangelo.
In questo modo siamo chiamati a contagiare la nostra esperienza di fede, toccando e rintoc-
cando.Come una campana...i cui confini coincidono con l’udibilità del suono, così la Rete può
diventare una forma di prossimità e di vicinanza, che aiuta a costruire o ricostruire l’appar-
tenenza ecclesiale
.
Mara Pacella
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