UN “CORTO” SUL BELICE
Quindici minuti di cinema-cinema (ritmo, qualità delle immagini, montaggio creativo ispirato
al tema, colonna sonora di Nicola Giannini, di coinvolgente originalità), un cicerone
naïf,
tutto
stupore e ruspante umiltà (l'antico fornaio del paese, Giovanni), sono gli ingredienti di questa
finestra aperta sul territorio di Gibellina in Sicilia; la quale, cancellata dal mondo dei vivi insie-
me con Partanna, Montevago, Salaparuta, Santa Ninfa dal micidiale terremoto del Belice, qua-
rant'anni or sono appena compiuti (15 gennaio 1968), fu quindi ricostruita nei modi impreve-
dibili che il film documenta.
Gibellina non era Pompei né Ercolano per lasciti d'arte o di architettura, ma solo un fertile
pezzo di terra contadina con quel tanto di “sacralità” della tradizione – usi e costumi compre-
si – testimone di un solidarismo interfamiliare di salutare ed integra radice.
La sorte, e una specie di trasposto senso di colpa, forse per gli indugi nel disporne la ricostru-
zione, sono all'origine della surreale reinvenzione urbanistica e architettonica di Gibellina, ad
opera di 500 volontari fra architetti e artisti visivi di fama (basterà citare Consagra e Burri, fra
i protagonisti), che hanno fatto di quell'antico centro contadino una sorta di Pompei di prima
degli scavi, sepolta e sigillata con arte; sparsa tuttavia di emergenze figurative e monumentali
recanti il marchio di un'Avanguardia, che in questo tragico angolo di Belice ha firmato una
delle sue espressioni collettive di più libero e audace risalto; trovando una puntuale messa a
fuoco nel linguaggio di questo “corto”, vincitore del più che promettente Filmfestival del
Garda: ultimo giunto, ma per classificarsi fra i primi per creatività ed entusiasmo.
“Una tomba”: così definisce Gibellina Nuova, l'ex fornaio. E sia ma, come il film attesta, una
tomba senza eguali, paradossale e a tratti avvincente per l'audacia delle soluzioni.
Giovanni e il mito impossibile delle arti visive
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