so, meravigliata che lo stesso nome della sua città ove non avviene mai nulla possa diventar
leggenda ed essere sulla bocca di tutti. “Perché avete fatto tanto chiasso? ” mi dirà. “È passa-
ta anche questa, ma per la miseria che è rimasta, per i morti che più non tornano, sarete buoni
a invocare almeno il ricordo, domani? ” Come prometterlo? E dipende da noi la risposta?
Ora si fanno solo domande. E alla terra che tutti sanno sommariamente propizia e ubbidien-
te per i suoi miti antichi ancora alle facili suggestioni delle nuove favole, daremo solo il ram-
marico di saperla esposta per la sua stessa impervia bellezza all’inclemenza della natura, come
se essa debba sempre rimaner natura, nonostante che la storia di tutte le civiltà le abbia segna-
to il volto di lapidi? Io non so, ma in quest’ora notturna, a spiegarla sull’atlante azzurro nel suo
ininterrotto spaccato di case, di campagne, di marine, forse ricomposta dall’area misericordio-
sa in una nuova pace, la mia terra mi pare dica che la sua tetra soavità, il fiore del suo incante-
simo, le nasce ancora dall’abbandono ove tutti vanno a coglierla per un giorno o per una sta-
gione, sicuri quasi di rispettarla col non prometterle nulla. Sulla spiaggia di Zenone cammina-
no ancora i bambini che mangiano la minestra nell’elmetto del negro: accanto ai giardini incan-
tati di Wagner precipita la notte del caos. Occorre forse veramente piantare sulle cime dei nostri
monti, da San Liberatore alla Stella, molte bandiere d’Italia.”
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