divampare. È stato a questo punto delle
mie riflessioni, ancora confuse ma
orientate, che ho conosciuto Popovic.
Sedeva, con la sua aria d’intellettuale
borghese di antico stampo ad un tavoli-
no della trattoria “Rosario” di
Dubrovnik. Anziano, ma di occhi gio-
vani e scintillanti. Cortesissimo e prodi-
go di sapienti consigli gastronomici.
Mezz’ora dopo tra un antipasto di ara-
gosta ed un merluzzo sopraffino (a
prezzi stracciati), ho appreso di avere
avuto per commensale niente di meno
che il ministro degli esteri della repub-
blica comunista jugoslava negli anni
’50. Figlio di un ricco banchiere di Belgrado, studente di filosofia alla Sorbona di Parigi, dove
aveva frequentato i surrealisti da Breton ad Eluard, Popovic solidarizza con i loro ideali comu-
nisti. Finché, nel ’36, è preso nella fornace della guerra civile di Spagna, militando, ovviamen-
te, nelle forze antifranchiste. In Spagna conosce Pacciardi, Luigi Longo, detto Gallo e Marty.
Resiste fino all’ultimo ma è sconfitto.
Tornato in patria, Popovic conosce con la
sua compagna, che siede ora al suo tavolo,
silenziosa e discreta, la prigione e le torture
della polizia jugoslava. Si rifarà con Tito,
divenendo – lui, il figlio del banchiere – gene-
rale e comandante della prima brigata proleta-
ria. Nel dirlo Popovic sorride con ironia:
verso se stesso? Verso la vita?
Popovic resterà al fianco di Tito fino agli
anni ’60, fino a quando, senza che si alteri
l’amicizia personale verso il maresciallo,
cominciano ad insinuarsi, in Popovic, i primi
dubbi politici. Politici, non ideologici, perché
ancora oggi il vecchio generale continua a
credere in una unità jugoslava, territoriale e
culturale: quella che permette a lui, belgrade-
se ed ex, di sentirsi a casa sua anche nella pic-
cola trattoria di Dubrovnik o Ragusa che sia.
Una parabola esemplare, giunta ormai alla
sua fase discendente, che lo squisito commen-
sale è riuscito a condensare con arguzia e sem-
plicità, con lo stesso
bon ton
con cui ha
discorso di vini pregiati, parlando in tutte le
lingue d’Europa: in italiano, in spagnolo, in
francese. Oltre che con il linguaggio degli
occhi.
Dopo un ultimo brindisi, Popovic si è alza-
to sorridente, avviandosi verso la porta. Sono
rimasta sorpresa, il suo passo era esitante, un passo stanco ed impacciato, il passo di un vinto.
Come in un lampo, mi è parso di riconoscere nella sua parabola la parabola della Jugoslavia.
( Foto originali dell’autore )
Mara Pacella
2
Dubrovnik 1991,
scorcio
Dubrovnik 1991,
la Cattedrale