GIULIO CARLO ARGAN
da: “Corriere della Sera”, 7 gennaio 1975
Critico e storico dell’arte, Giulio Carlo Argan (1909-1992) è stato anche
sindaco di Roma dal 1976 al 1980. Il tema di questo articolo, l’istituzione
del ministero dei Beni culturali, gli offre il destro per soffermarsi sulla con-
genita tendenza del nostro Paese a distruggere il suo ricchissimo e insosti-
tuibile patrimonio culturale. Circa le sorti odierne di quel ministero, si
domandi ragione agli attuali “ vandali” d’Italia. Ai lettori di oggi l’invito
a rif lettere.
UN MINISTERO PER RECUPERARE IL PASSATO
Sono stati gli stud iosi, archeologi e storici dell’arte, a chiedere che si facesse un ministero
per i beni culturali. Il sistema di salvaguardia non funziona, l’istituzione di un ministero non
basta a cambiarlo, però localizza la responsabilità politica di un problema che non è più soltan-
to di amministrazione, ma di governo. Forse il ministro Spadolini, uno storico, ascolterà le
ragioni degli storici. È necessaria una radicale inversione di tendenza, togliere il patrimonio
dalle mani della burocrazia e affidarlo ai competenti assicurando alla loro azione un solido
sostegno politico. Non è quest ione di mettere un tecnico al timone della barca che affonda,
bisognerà mobilitare e responsabilizzare l’intero equipaggio, tutta la categoria degli specialisti.
È l’ultima speranza.
Le cause della rovina galoppante non sono
soltanto l’incuria, i pochi mezzi, la burocra-
zia, il malgoverno, il sottogoverno. La ten-
denza distruttiva è nel sistema e va combattu-
ta alla radice. A una società che non conosce
altro valore che il profitto e vuole lo sfrutta-
mento immediato ed esaustivo di tutte le sue
risorse, la conservazione di un patrimonio
ereditario e improduttivo pare un controsen-
so. Produttivo, sul piano economico, certa-
mente non è e non può diventare: per questo
speculatori, affaristi, mercanti e imbroglioni
vogliono liquidarlo. Sanno benissimo che il
patrimonio ha un immenso valore ma non
rende in proporzione e neppur tanto da coprire le spese della conservazione: inutile cercare di
persuaderli che c’è un interesse al di sopra del loro particolare interesse. Risponderanno che il
sentimentalismo delle sante memorie ritarda lo sviluppo economico e che la loro distruzione è
nella logica del progresso. Sarà anche nella logica del progresso, ma non in quella della civil-
tà, cioè della storia, che non è processo lineare e irreversibile, ma confronto, contrasto e scelta
tra possibilità alternative e talvolta contraddittorie.
Orma i è chiaro, dimostrato dai fatti, che l’immagine di una società tutta nuova e tecnolo-
gicamente perfetta, telecomandata come un razzo in viaggio verso la luna, è un falso miraggio,
e che la società del benessere generale non è tanto un’utopia quanto una losca menzogna. Se
fatta pensosa da tanti misfatti e disastri, l’umanità si rimetterà sulla via della storia, dovrà pure
rimeditare sul proprio passato: forse per questo chi teme e detesta la storia, vorrebbe bruciarle
i ponti alle spalle. Certo non ritornerà sui suoi passi e le cose del passato avranno agli occhi del
mondo un altro significato: non saranno più simulacri da riverire o modelli da imitare, ma i ter-
mini di un raffronto e forse di una contraddizione. Ma senza contraddizione non c’è dialettica,
la storia è dialettica di contraddizioni e senza documenti non c’è storia. Perciò, e non per gelo-
so attaccamento agli oggetti dei propri studi, gli stud iosi reclamano la salvezza del patrimonio
culturale; e se, nonostante la scoraggiante esperienza dell’insensibilità culturale degli uomini
di governo, hanno chiesto un ministero, è perché oggi il patrimonio culturale non si difende
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Pompei,
Domus dei gladiato ri