CineArte on line 2007 - 213 - page 256

tavia esclusa, esplicitamente e senza riscatto, da ogni ipotesi di santità.
Una precisazione in vero singolare, tuttavia, che accentua – nel fare mostra di attenuare – il
giudizio di condanna nei confronti della istituzione ecclesiale. Condanna che, come si vedrà fra
poco, marca a fuoco se pure per cenni (ma sostanziali, in quanto calati nell’abbozzo testuale
della sceneggiatura) l’idea che Pasolini nutre della Chiesa terrena: senza possibilità di revisio-
ne o di appello; al punto di determinare a nostro avviso, anche se in assenza di prove documen-
tali, la ricusazione più che giustificata del progetto da parte dell’interlocutore cattolico.
La cronaca dei sopraggiunti tentativi, protratti per volontà del cineasta-poeta nel 1974, anno
precedente la sua morte in tragiche e oscure circostanze, risente del tortuoso procedere di Pier
Paolo, nel suo avventurarsi a profilare ulteriori ipotesi di lavoro: non più, però, con la
Sampaolofilm
, bensì con altre sigle produttive. Sei anni dopo la lettera a don Cordero dianzi
citata, le rinnovate proposte dell’autore consegnano infatti, all’interlocutore designato, una
serie di correzioni di suo pugno, nelle quali la diversa formalizzazione non è sufficiente a
mascherare l’inconciliabile dilemma pasoliniano fra santità e sacerdozio cattolico. Per accer-
tarsene senza dovere consultare, a tal fine, l’edizione enaudiana del progetto, datata 1977, se
ne può acquisire oggi integrale conoscenza prendendo visione della posteriore edizione mon-
dadoriana, segnatamente nei due tomi intitolati al cinema
1
. Ad essi rimandiamo per un’atten-
ta lettura delle apparenti, “nuove” acquisizioni, nei passi in cui, in modi anodini, la dichiarata
contrapposizione fra Chiesa e Santità trova indubbia, ombreggiata conferma nelle pieghe delle
didascalie di scena, che introducono la figura di Satana. Questi, sotto le apparenze dell’evan-
gelista Luca interviene, senza che il santo se ne avveda, per aiutarlo a fondare per l’appunto la
Chiesa, secondo le sue prave intenzioni. Una “trovata”, se così si vuole definirla, che trova
ribadita conferma nel crudo giudizio con cui Pasolini, in una ulteriore giunta, non esita ad accu-
sare apertamente la Chiesa romana, di accettare “
passivamente un potere irreligioso che la sta
liquidando e riducendo a folclore”.
Per inquadrare, a mo’ di conclusione, nei termini di una verità “storica” secondo Pasolini; e
comprendere al tempo stesso il senso e la portata della radicale antitesi fra Chiesa e Santità,
giova forse riflettere sulle poche, ma significative righe già tracciate da Pier Paolo a proposito
del proprio film,
Il Vangelo secondo Matteo
, presentato a Venezia e premiato (fra le invettive,
i fischi, le scazzottate del pubblico presente) dal massimo organo della cinematografia cattoli-
ca, l’OCIC. Aveva scritto in proposito Pasolini: “
Sebbene la mia visione del mondo sia religio-
sa, non credo alla divinità di Cristo. Ho fatto un film in cui esprimo, attraverso un personag-
gio, l’intera mia nostalgia del mitico, dell’epico, del liturgico. La storia di Cristo è fatta di due-
mila anni di interpretazione cristiana. Tra la realtà storica e me si è creato lo spessore del mito.
Da qui il carattere composito della ricostruzione, l’amalgama dei riferimenti culturali e pla-
stici, la trasposizione
2
. Paolo come Cristo, evidentemente. E la sua
santità
, rivissuta da
Pasolini, come l’apice di un tragico
epos
, nostalgicamente e poeticamente messo in scena.
Vittorio Di Giacomo
1
“Pier Paolo Pasolini per il cinema”
, a cura di Walter Siti e Franco Zabagli, Milano 2001 (edizioni della “Meridiana”).
2 E’ opportuno rammentare a questo punto che nel progetto del film, come Pasolini annotava nel paragrafo introduttivo all’ab-
bozzo di sceneggiatura, “
l’antica Gerusalemme è sostituita da Parigi, negli anni fra il 1938 e il 1944, cioè sotto l’occupazio-
ne nazista. Gli antichi dominatori romani sono dunque sostituiti dall’esercito hitleriano, e i farisei dalla classe conservatrice
e reazionaria francese, tra cui naturalmente i collaborazionisti di Pétain”
. Tutto ciò, evidentemente, per esacerbare fino allo
spasimo la tensione e il rischio nel cui clima il santo-partigiano vive, lotta e muore.
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