L’ANIMA DEI LUOGHI
Tra i filosofi contemporanei considerati, estensivamente, non solo come
maîtres à penser
–
con quel tanto di professorale che l’espressione benché aperta mantiene in sé – ma come veri
e propri maestri di vita in senso esistenziale e comportamentale, non da oggi consideriamo, in
quanto dotato di una “seconda vista”, l’americano James Hillman, non a caso esponente della
psicanalisi di origine junghiana. Ne fanno fede già ad un primo approccio i titoli di alcune fra
le sue opere note anche in Italia come
Anima
, denotante nel suo dialogare in un gioco di canto
e controcanto con i testi junghiani, la “fonte primaria” della vita della psiche; e come l’affine
Il codice dell’anima
, centrato su quella sorta di stimolo segreto che ci induce a scelte di vita di
cui non sempre ci è nota la cifra. Leggiamo insieme una sua frase esemplare:
Il richiamo del-
l’animo…è una seduzione che porta alla fede psicologica, una fede nelle immagini e nel pen-
siero del cuore, che conduce ad un’animazione del mondo. L’anima crea attaccamenti e lega-
mi. Ci fa innamorare
.
Coerente con codeste premesse è l’opera minore per mole che l’autore dedica, in conversa-
zione con lo studioso e docente italiano Carlo Truppi, a
L’anima dei luoghi
, sulla quale si inne-
sta questa nostra testimonianza. I brani del suo pensiero che stiamo per citare prendono le
mosse dalla nozione di architettura, che Hillman si adopera ad ampliare oltre i confini della
riduttiva concezione corrente (che considera l’architettura soltanto come
costruzione, disegno,
progetto, ingegneria
), sottolineandone invece la sostanza fondata sull’immaginazione.
La
grande eredità della cultura italiana
– scrive Hillman –
è la capacità di coniugare i due aspet-
ti. Per esempio, non soltanto la progettazione del Pantheon, ma l’immagine del Pantheon
.
Un secondo aspetto a lui caro, cruciale e imprescindibile, riguarda l’esigenza di individua-
re (contro le astrazioni del pensiero di Cartesio e di Newton) il senso della
individualità dei
luoghi
– della loro singola specificità – contro le concezioni riduttive che confinano i luoghi
nella pura dimensione spaziale, declassandoli a numero e misura.
Non era così in antico, sostiene Hillman:
Uno dei primi testi di psicologia è “
Aria, acqua e
luoghi
”, in cui Ippocrate afferma la specificità dell’acqua di un luogo. Lo stesso è per l’aria.
Nell’antica Grecia luoghi quali crocevia, sorgenti, pozzi, boschi e simili avevano specifiche
qualità e specifiche personificazioni: dèi, demoni, ninfe […] E se si era insensibili ai luoghi si
correva un grave pericolo: si poteva essere posseduti
.
Idonea all’età odierna, questa nostra insensibilità – an-estetica – rispetto alle singole pro-
prietà di ciascun luogo, produce conseguenze più prosaiche, ma non meno dannose al prospe-
rare delle ragioni dell’anima:
Ci sono luoghi in cui l’acqua e l’aria sono benefiche, ma li
abbiamo alterati trasformandoli in località di villeggiatura dove sciare o prendere il sole, e
dove i servizi turistici sono la cosa più importante, finendo così per cancellare il carattere ori-
ginale del luogo. È importante –
invece
– rendersi conto di che cosa i luoghi contenevano,
tenevano
dentro
, da che cosa fossero
inhabited.
Ogni luogo aveva un’intima, peculiare quali-
tà. Questo
in
, l’interiorità dei luoghi, è
l’anima del luogo
.
In altri termini:
Se si tiene presente l’idea di
in
, di interiorità, di
essere in
, emerge che uno
dei problemi dei luoghi attuali è che non corrispondono a questa idea. Uno dei modi, o meglio,
uno dei fattori da cui dipende la qualità dell’
in
è la memoria. I luoghi hanno ricordi […]. La
memoria è
inscritta nel mondo
. Così, per esempio, il restauro di Ortigia è un recupero della
memoria, la cura di un’amnesia
.
La conclusione provvisoria, e tuttavia memorabile è, con le parole di Hillman, questa:
Ora
vorrei mettere in evidenza il disorientamento della psiche nella nostra epoca, il disorientamen-
to che attanaglia l’Occidente a causa dell’amnesia – la perdita della memoria dovuta agli
eccessi del costruire, dello sviluppo, degli spostamenti. La distruzione di palazzi, come oggi si
fa in continuazione per ristrutturarli, migliorarli, equivale ad una lobotomia, a una perdita di
cellule cerebrali: è una perdita di ricordi e d’immagini. Una questione ancor più attuale dopo
la distruzione delle Torri gemelle a New York: una pressione economica nel settore dell’edili-
zia per ricostruire le torri ancora più alte, ignorando la memoria – perché quel luogo è diven-
tato uno spazio sacro, un luogo di sepoltura, un luogo funereo e tragico. Ormai l’idea della
distruzione
appartiene a quel luogo
. La distruzione, non solo la costruzione. È come una feri-
ta che lascia una cicatrice, c’è memoria nella cicatrice. La cicatrice è memoria
.
Marco Ovid io Giotti
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