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Sant’Alipio è l’unico che conservi oggi il
mosaico originario, con le trionfali accoglienze
di Venezia.
INTERNI, IL TRANSETTO – LE CUPOLE
DEL MOSAICO DELLA
“APPARITIO”
–
SEGUONO VARI ASPETTI DEI DUE
MOSAICI AFFIANCATI CON DETTAGLI
DEL POPOLO IN PREGHIERA, DEL
CLERO, DEL DOGE
Quest’aurea sequenza delle cupole di San
Marco, fissate dal mosaico nella loro foggia
primitiva, fa il paio con quella del portale di
Sant’Alipio, nella iconografia marciana dei
primi secoli. Il tema è storico. E l’intento del
mosaicista, operante nel tardo Milleduecento, è
apologetico e politico: vuole egli esaltare nello
splendore delle immagini, tra le più belle e
corpose della basilica, l’ultimo atto della
leggenda di Marco.
Nel mosaico si allude alle preghiere e ai
pubblici digiuni, indetti dal Doge Vitale Falier
nel 1094, quando – compiendosi, a trentun anni
dall’inizio, i lavori della terza San Marco – si
paventò di non ritrovare le reliquie del santo,
smarrite.
Tra cronaca e leggenda si tramanda che fu lo
stesso Marco a manifestarsi con segni
inequivoci, dall’interno di un pilastro dove era
stato custodito all’insaputa dei molti. Nella
leggenda marciana l’episodio è ricordato come
quello della
Apparitio
– dell’apparizione
prodigiosa, cioè – o anche della
Inventio
: vale a
dire del ritrovamento. Risale ad allora la
collocazione del corpo nella cripta, donde fu
tratto solo nel 1835 per essere trasferito sotto
l’altare maggiore.
IL
PILASTRO
CON
LA
LAPIDE
COMMEMORATIVA
Alla ingenua semplicità dell’immagine del
mosaico, fa riscontro il pilastro reale, con la
lapide commemorativa del prodigio, su di un
fianco della Cappella del Sacramento.