CineArte on line 2007 - 213 - page 282

del pronao, è invece la Villa Corner della Regina, già sede degli alti comandi nella prima guer-
ra mondiale. Duemila metri la dividono dalle sorgenti del Sile. E fu scelta strategica il costruir-
la qui, a cagione della via d’acqua intesa come tramite economico e civile.
La Villa Lattes
Con la Villa Lattes di Istriana, il quadro delle ville più significative nell’area del Sile, a occi-
dente di Treviso, si compie. L’architetto è Giorgio Massari, l’anno di costruzione il 1715. Ma
per la Villa Lattes, oggi aperta al pubblico, il suo essere settecentesca nella concezione profon-
da non è solo un segno dei tempi – a specchio di un’improvvisa leggerezza dell’essere – ma un
sintomo preciso: il Sile, invisibile dal suo balcone, non è più la spina dorsale di un sistema eco-
nomico e sociale, ma l’immediato refrigerio per le ore spensierate.
Gli automi
L’ultimo proprietario, il Lattes, era uomo di questo secolo, ma prigioniero volontario di un pas-
sato che egli sognava ripetibile. Viaggiatore instancabile, collezionista puntiglioso, geniale
dilettante – prima di subire in guerra la persecuzione e scamparne, lui israelita – aveva raccol-
to nei saloni di Villa Lattes, in un’atmosfera di incanti sonori tramata da
carillons
, un mondo
squisito di bambole semoventi, di preziosi automi, al limite di una poetica follia.
Santa Cristina dal cielo
Lungo il Sile, tra Morgano e il Comune di Quinto – nella zona che sto sorvolando – ho visto
agire con ascetica fermezza gli ultimi, o i nuovi? utopisti della natura. I quali si battono per sal-
vare, curandola come fosse il giardino di casa, una delle poche, più preziose e suggestive “aree
umide” del Veneto. In particolare il Comune di Quinto, con sensibilità rara, ha acquistato per
tutelarli venticinque ettari di palude. Un paesaggio straordinario, un tesoro di flora e di fauna,
sottratti al saccheggio: prologo di una vagheggiata riserva delle sorgenti del Sile.
Navigando il fiume verso il mulino
Gemma di quest’oasi naturalistica è il mulino Cervara, all’isola di Santa Cristina. L’approdo è
dalla Piovega, affluente nel Sile. Insieme Piovega e Sile cingono l’isola, ora congiunti ora
disciolti, e ovunque è un pullulare di pozze, canaletti, fontanili – inframmezzati da resti archi-
tettonici, sentieri-natura, aree di popolamento, capanni per l’osservazione. L’orizzonte è chiu-
so; le ripe folte, impenetrabili. Fonti storiche, del Settecento, riferiscono che qui era il mulino
delle monache di San Paolo, uno dei nove che usavano in zona la forza calma del fiume. Ma
l’impianto era molto più antico, risaliva nientemeno che al Trecento. Oggi il mulino Cervara è
un’occasione e un invito, soprattutto ai giovani, ad affinare cultura e sensibilità nella conoscen-
za della natura.
Nel folto della vegetazione
Considero questa mia esplorazione all’alba nei penetrali della palude di Santa Cristina, come
uno dei momenti più intensi dell’intero viaggio sul Sile. Ho ascoltato il silenzio – sorpreso il
brivido dell’acqua – colto l’arpeggio di un battito d’ala. Ho spiato il nido del pendolino tra i
giunchi, l’occhieggiare della gallinella d’acqua nello strame che si macera. In umiltà mi sono
detto: spero che qualcosa resti. E con questa disposizione dell’animo, ho compiuto il mio giro.
Se rimetto il piede a terra, è con spirito mutato. È stato come nettarsi, ritrovare una purezza che
sembrava perduta. Si torna all’uomo con fiducia e confidenza. Si riscopre il piacere dei gesti
semplici, del rider sobrio. Il cuore si apre alla speranza – e la mente acconsente – in un’attesa
comune. Nel nome del Sile.
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