COME NACQUE UN POETA
Leonardo Sinisgalli, chi era? Si domanderanno i più giovani. La domanda non penalizza quei
virtuali lettori che, per motivi di età o altro, ne ignorano perfino il nome; bensì accusa quegli
informatori di professione che, intenti a strippare di battutacce o simili idiozie gl'ingordi
fan
dell' ultimo derelitto ospite dell'
Isola dei famosi
, non hanno trovato il tempo e la disposizione
d'animo per ricordare il centenario della nascita (1908) di questo singolarissimo poeta di stir-
pe contadina, nato a Montemurro in Lucania: autentico
selfmademan
che, dopo avere sogna-
to nella sua infanzia di fare da grande il fabbro, giunse a laurearsi in ingegneria elettronica e
industriale, rendendosi celebre per avere fondato e magistralmente diretto la rivista di
Finmeccanica: “ Civiltà delle macchine”, autentico modello di una passione matematica e tec-
nologica umanisticamente nutrita.
In quanto al suo valore di poeta, messo in luce primamente da Giuseppe Ungaretti, basterà
sfogliare qualsiasi antologia della pur eccellente lirica novecentesca, per trovarvi a pieno
merito Sinisgalli fra i nomi che contano.
Per nostro conto, tuttavia, anzicchè dilungarci sulla sua multiforme attività di adulto, che lo
vide cimentarsi anche con il cinema, nel cui ambito volle misurarsi nella messa a punto – nien-
te meno – di una puntuale rispondenza fra la metrica poetica ed una esplicita metrica cinema-
tografica, preferiamo riprodurre con nostalgia il seguente testo in prosa di Leonardo; autenti-
co brano di una ideale antologia dedicata alla folgorazione che, in un animo sensibile, può
provocare l'annuncio della poesia
:
“Nell'anima di un giovane la poesia si annuncia come l'amore, con un grande spavento. Il
giovane avverte la precarietà di tutti i legami terrestri, sente di essere stato chiamato da una
voce che si fida soltanto delle sue capacità di ascolto. Non può più stabilire gerarchie nei suoi
affetti, nei suoi interessi, nelle sue passioni: tutte le cose presenti, passate e future stanno lì
intorno a lui a eguale distanza. Ricordare, sentire, indovinare, sono facoltà che lo obbligano a
un' incantata immobilità. Il giovane che nasce alla poesia crede fermamente di essere l'unica
creatura della terra votata a raccogliere i messaggi che a tutte le altre anime riescono indecifra-
bili. Accoglierli e promulgarli. Quante volte è salito come Mosè sulla montagna? Egli è perdu-
to da quel giorno, dal giorno che gli accadde di trascrivere i primi versetti, egli è perduto per
la famiglia e per gli amici. Ma lentamente da quella stessa tenebra in cui sono stati ricacciati i
cari volti familiari, spuntano amiche le cose coi loro spigoli, gli uccelli col loro canto, e il
tempo col suo trapestìo, il suo palpito, il suo sibilo. Il ragazzo che la Poesia ha con tanta astu-
zia rapito si sorprende lungamente, sdraiato e come esausto, sulla coperta del letto, sotto un
albero di noci, o affacciato alla finestra della sua camera a guardare l'orizzonte. La madre e le
sorelle nelle altre stanze camminano in punta di piedi, lo considerano già un malato, un men-
tecatto. Ma egli gode di rimaner solo ad affogare una mosca nell'inchiostro, a guardare le mille
similitudini che genera una foglia quando si muove e l'ombra di una foglia quando sul muro si
sposta il sole. Una sera, una sera memorabile, un libro gli capita sotto le mani. È un libro di
versi. Oltre i versi, corti o lunghi, aperti o chiusi, egli apprende una prima verità imperiosa
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