PER UNA DURATA DEL CINEMA D’ARTE
Lungo e difficile è stato il percorso che ha consentito il riconoscimento del cinema come
“arte” e quindi del film come “opera” da conservare ed eventualmente restaurare. Fino agli
anni ’70 del secolo scorso, il film era considerato unicamente un oggetto di sfruttamento com-
merciale; una volta esaurita la sua funzione, le copie finivano al macero per essere trasforma-
te in scaglie di triacetato di cellulosa, destinate a nuovi impieghi industriali.
Una volta acquisito il concetto che anche il cinema ha diritto di essere considerato un’arte
ed il suo supporto fisico – il film – di essere adeguatamente preservato e restaurato, si è cerca-
to di dare a questo lavoro basi teoriche certe, partendo da quei principi sanciti nel 1972 da
Cesare Brandi nella Carta del Restauro:
Si restaura solo la materia dell’opera d’arte
. Ma in
arte la materia si identifica con l’opera, che è un
unicum
; nel cinema abbiamo le copie positi-
ve, i negativi, gli interpositivi e internegativi, etc. Una cineteca quindi deve poter raccogliere
tutti i materiali relativi ad un film e porsi compiti di
preservazione
– quando ci si limita ad un
intervento – di
duplicazione
, senza apportare alcuna modifica all’originale – ; di
ricostruzione
– quando si ricompone un “tessuto narrativo” lacerato – ; di
restauro
– quando si interviene a
modificare i singoli elementi del film – .
Il primo passo nel restauro di un film è la sua identificazione, attraverso un esame critico
di tutti i materiali a disposizione (negativi, positivi, bollettini di censura, documenti, etc.).
Per poter duplicare e riprodurre materiale d’epoca occorre mettere la pellicola originale in
condizione di sopportare un procedimento di duplicazione entro una serie di macchine moder-
ne, che quasi mai sono adatte al trattamento di materiali “primitivi”; è quindi necessario rida-
re “resistenza meccanica” ad un film, controllando ed eventualmente rifacendo le giunte.
Prima di passare alla duplicazione, è necessario un processo di “rigenerazione” del supporto e
dell’emulsione, per eliminare (o minimizzare) gli effetti dovuti alla presenza di sporcizia, come
polvere, olio, residui di colla, nastro adesivo, etc.
Oggi le cineteche hanno preso coscienza che la duplicazione è la fase più delicata nella con-
servazione di un film, perché la nuova matrice prodotta sostituirà a tutti gli effetti l’originale,
destinato a dissolversi o al più, a rientrare in un cellario dove non verrà più toccato. Tutte le
lavorazioni (integrazioni, sostituzione delle didascalie, rimontaggio, etc.) verranno eseguite
sulla copia di riferimento; quella sarà a quel punto il nuovo “originale”.
Per questo bisogna cercare di garantire la maggior fedeltà possibile (cromatica, fotografica,
etc.) all’originale.
Compito del restauro, oltre al ripristino dell’integrità fisica della pellicola, è quello di rico-
stituire l’integrità narrativa del film, cioè colmare le lacune, le lacerazioni nel tessuto narrati-
vo, la perdita di inquadrature, scene, episodi, didascalie; l’intervento sul singolo fotogramma
consiste nell’eliminare le macchie di decadimento, le abrasioni profonde, le perdite localizza-
te di colore, etc. Ogni intervento deve comunque essere sempre riconoscibile e reversibile.
Un capitolo a parte è il restauro del cinema a colori girato in pellicola
Eastmancolor
(a tre
strati), in uso dagli anni ’50. Il sistema oggi più accreditato per rispondere a questa esigenza di
salvaguardia consiste nella stampa di tre duplicati positivi in bianco e nero, ognuno recante le
informazioni relative ad uno dei colori primari: rosso, verde, blu. La lavorazione separata di
queste matrici consente di riequilibrare le perdite relative ad ognuno dei tre colori. Le tre
immagini verranno poi ristampate sovrapposte su un nuovo intermediato negativo, da cui trar-
re le nuove copie a colori.
Oggi una nuova tecnica di restauro sta affiancando quella tradizionale, sia nel campo del
suono che dell’immagine: è la riproduzione “digitale”, l’unica tecnologia che consenta una
duplicazione “trasparente” (senza perdita di informazioni). In pratica un’informazione “analo-
gica” (audio o video) viene trasformata in una sequenza di numeri, che resta inalterata da copia
a copia.
La tecnologia digitale è particolarmente utile quando si debba intervenire su fotogrammi
che hanno perduto parte delle informazioni contenute nell’emulsione, a causa di danni mecca-
nici o chimici. Anche una mediocre duplicazione può causare una perdita di informazioni nel-
l’immagine; il digitale, attraverso particolari software, può ripristinare l’equilibrio densitome-
trico dell’immagine originale o, nel caso del colore, correggere le eventuali dominanti per resti-
tuire un equilibrio cromatico il più approssimato possibile all’originale.
Naturalmente il grado di discrezionalità offerto dalla tecnologia digitale e le potenzialità del
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