“INFERNI, MARI, ISOLE”
Nel firmamento poetico, oggi così restio a lasciar trapelare in Italia talenti degni della tradi-
zione novecentesca, l’ immagine di
Roberto Mussapi
è senza alcun dubbio tra le rare degne
di figurare accanto ai Montale, ai Luzi, ai Caproni, ai Bertolucci di ieri. Di Mussapi fanno
spicco le intuizioni liriche ed epifaniche a tema, come quelle del mare, del viaggio verso terre
cognite e incognite (sempre di là dall’orizzonte ultimo), del rtorno. Ne diamo qui un brano
tratto dal breve saggio dell’autore, introduttivo al volume “
Inferni, mari, isole”
, Paravia
Bruno Mondadori Editori 2002: quasi un compendio di poetica, atto a stimolarne l’avvincen-
te lettura.
“La letteratura del secolo appena trascorso legge prevalentemente il mondo come l’isola di
Robinson, un luogo di prigionia e solitudine, e tende anche a dimenticare il finale, il ritorno.
Lo stesso secolo vide il tentativo di smitizzazione del mito di avventura, conoscenza e mistero
su cui si fonda la letteratura
d’Occidente: illusorie Penelope e
Itaca, risibili le apparizione delle
dee e delle ninfe marine, sgraziate
le voci che incantarono Ulisse,
immotivato il viaggio e insignifi-
cante il ritorno.
Dopo molto più di 2000 anni il
mondo legge il poema di Omero,
non so se tra altrettanti millenni si
leggerà l’
Ulisse
di Joyce.
Certo la pensano diversamente
dallo scrittore irlandese, in merito
al mito di fondazione della nostra
avventura letteraria e conoscitiva,
gli autori che reimmettono il passa-
to nel presente, in forma di archeti-
po, come Borges, certo prendono molto sul serio Odisseo e le sue avventure gli scrittori che
gettano i semi della letteratura del nuovo millennio, come l’africano Wole Soyinka o il carai-
bico Derek Walcott.
Più in generale, credo che la metafora della navigazione sia quella che esprime con maggio-
re potenza la nostra avventura umana nel mondo e la natura metafisica della letteratura: anda-
re oltre, verso terre lontane, per tornare e restituire l’esperienza vissuta in forma di racconto, la
visione tradotta in poesia.
Il viaggio per mare, la partenza per l’isola, microcosmo perfetto, la discesa agli inferi che la
memoria mantiene in vita come legame con il passato e unione della specie: queste grandi espe-
rienze non sono morte perché la letteratura ha saputo preservarne il senso e il mistero, e la pre-
senza anche nella nostra vita quotidiana, se vissuta poeticamente, che non significa in modo
sovreccitato o enfatico, ma semplicemente dando alle cose il giusto peso, e guardando gli acca-
dimenti nella luce che meritano.
Memoria dell’avventura significa sopravvivenza dello stupore, da cui ha origine l’immagi-
nazione. Forse nessuna opera letteraria può esprimere il senso della nostra vita e della lettera-
tura come la storia di quel ragazzo
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che salpa alla ricerca di un tesoro seguendo una mappa,
avventurandosi verso mari lontani.
Una sola. La storia dell’uomo che dopo mille prodigi scopre che il vero miracolo è il ritor-
no. Perché solo il ritorno consente racconto, memoria, narrazione.
Rendere comune a chi ascolta, a chi legge, l’avventura del tesoro, la sua ricerca, gli ostaco-
li, i misteri, ma anche la certezza che sotto qualche strato di terra, nascosto, sepolto, il tesoro
esisteva”.
1. Jim, il ragazzo che salpa alla ricerca del tesoro, ne
L’isola del tesoro
di Stevenson.
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Foto di Mara Pacella