IL SILENZIO DELLA NEVE
di Giorgio Soavi
«L’altro giorno ho visto, molto distintamente, come è fatto il silenzio. Ogni pomeriggio alle
6 su RaiTre c'è la trasmissione Geo. Il silenzio stava in un paesaggio immenso della Finlandia
dove la quantità di neve scesa sugli alberi, e su tutte le forme emerse in quella terra, aveva dato
delle forme fatte di milioni di cristalli di neve che si erano come addormentati sui rami di quel-
le piante. Chi stava girando il film sulla neve di quei luoghi deserti ma bianchi, si era fermato
a ritrarre per noi il profilo di quelle forme, gonfie come animali, ma il più delle volte delicate
come il profilo di un angelo. Quando dico angelo o animale il mio punto di riferimento è la pit-
tura. Il coniglio di Dürer, l'angelo di Benozzo Gozzoli. Ma questa volta la scultura era più forte
della pittura, perché il gonfiore di quegli alberi, sui quali si era addormentata la tanta neve
appena scesa, era il gonfiore della scultura: grassa e gonfia, intoccabile; perché, se soltanto si
fosse alzato un po' di vento in quelle terre della Finlandia, i cristalli bianchi sarebbero volati
via facendo dimagrire tutto quanto. Quel silenzio era dunque vasto quanto una regione inver-
nale disabitata, grasso, corposo, bianco, e aveva forme perfettamente riconoscibili; cosicché i
nostri occhi erano beati di sentire che il silenzio non ci stava spaventando, perché ci potevamo
nuotare dentro senza sollevare alcun rumore, incubi, terrore o profondità nelle quali saremmo
potuti cadere a vite come da un'altura: come quando, spaventati da un brutto sogno, precipitia-
mo per finire schiantati a terra. Il sogno visibile e indimenticabile era vero e bianco, alto anche
una ventina di metri ma poteva, data la grande quantità degli alberi invasi dalla neve, essere
perlustrato dal primo piano di un albero che assomigliava a un animale immobile, a quello
degli alberi più lontani. E la sensazione di poter guardare senza risparmio, cioè sino alla fine
di quella terra polare e immensa, dava al silenzio, nel quale incominciavo a respirare, la cer-
tezza che il silenzio poteva essere una cosa amica nella quale aggirarsi stando finalmente zitti:
ma non a denti stretti dalla paura, perché l'emozione di quella novità silenziosa ci dava un gran-
de conforto. Quindi, da oggi, il mio silenzio ha quella forma bianca e gelata, ma confortevole,
della quantità di neve con un cielo azzurro sopra la testa; e la certezza che se nessuno, oltre a
noi che già stiamo zitti, si azzarda a dire la famosa frase cretina: «Dio, che colori, come è bello,
guarda là», il silenzio sarebbe stato un genere di conforto pari allo stupore e alle prime parole
che avremmo detto quando il film della Finlandia fosse terminato. Il che avvenne dopo una
decina di minuti. Quindi, per la nostra memoria, una decina di minuti di silenzio ci offre il
modo di dare una forma a una cosa mai esplorata, ma adesso precisa e indimenticabile. Nella
quale era riconoscibile la bellezza della pittura e della scultura a noi note: perché, adesso che
tutto era sparito dal video, potevamo aggrapparci alle invenzioni dei pittori anche metafisici,
come de Chirico o Max Ernst, e a tutti gli artisti decisi a dare forme e colori per comporre la
loro colonna musicale silenziosa attraverso un quadro o una scultura.
Insieme alla neve. Insieme alla neve, il silenzio della bellezza nei quadri può aver abitato
in quelli di Moholy Nagy, in quelli di Mondrian, quando gli artisti si decisero a dividere il pic-
colo spazio di un pezzo di tela dipinto con delle linee tutte diritte e tirate con il righello, o la
squadra, e dipinti a colori piatti, non certamente impressionisti. A trent'anni la silenziosa pittu-
ra astratta mi aveva convinto, e non capisco il perché: io sono stato fatto per parlare, o ascol-
tare le parole altrui, attraverso la conversazione dei romanzi e della pittura. Sapevo che le mie
passioni non avevano la minima radice culturale, che era soltanto letteraria; e per arrivare a
capire che il cubismo fosse arrivato a fare animate conversazioni ascoltando le sculture inven-
tate dai popoli africani, ci vollero anni di sguardi e di fotografie.»
Da: Vittorio Gassman, Giorgio Soavi,
Lettere d'amore sulla bellezza
, Longanesi &C., Milano 1996
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Foto di Mara Pacella