Se diamo per assodato, pur senza alcuna nostalgia per lo strutturalismo già imperante in
tempi che, ancorché vicini a noi, appaiono remoti, che ogni opera artistica è tale solo se frut-
to di una
coerente e conseguente invenzione formale
, l’assioma che ne deriva risulta più diffi-
cile da comprendere nei casi in cui tale invenzione appare frutto del convergere di due distin-
te personalità in un’unica forma. È il caso, frequente, nel teatro e nel cinema come in qualun-
que prodotto creativo che implichi, in atto, una duplicità fisica e caratteriale: generato nella
fattispecie dalla dialettica regista-attore.
L’esempio che segue, fondato sulla lettura critica ed emozionale dello sguardo dell’attrice
Marie Falconetti nel film
La passione di Giovanna d’Arco
di Dreyer – lettura propostaci (ne
Le emozioni ferite
, Feltrinelli Editore) dal massimo esponente in Italia della “fenomenologia
psichiatrica”, il dottore delle anime Eugenio Borgna – ne è l’esemplare, problematica con-
ferma. Alla libertà interpretativa di ciascuno, pertanto, la risoluzione del dubbio.
GLI OCCHI DELLA GIOVANNA D’ARCO DI DREYER
“Uno dei grandi film del cinema muto è
La passione di
Giovanna d’Arco
di Carl Theodor Dreyer; e, nel richiamar-
mi a questo film di una stupefacente modernità e di una stra-
ord inaria tensione espressionist ica, che l’assenza della
parola dilata vertiginosamente, vorrei ricordare la splendida
interpretazione che di Giovanna d’Arco ha data Marie
Falconetti. Nel suo volto, e in misura più incandescente nei
suoi occhi che i primi piani ci fanno vedere nella loro ango-
scia e nella loro disperazione, nella loro tenerezza e nel loro
abbandono, nella loro temeraria determinazione e nelle loro
speranze ferite, si riflette mirabilmente la breve storia della
vita e della morte della Pulzella d’Orléans: della sua fede e
della sua libertà interiore calpestate dalla violenza e dalla
negazione di Dio dei giudici del tribunale ecclesiastico di Rouen che, crudeli e spietati (d isu-
mani), dagli occhi incendiati di una divorante e anarchica distruttività, la condannano alle tor-
ture e alla morte da Dreyer rappresentate nella loro inaudita fonte di orrore.
Sono gli occhi, gli occhi come specchio dell’anima e del suo destino, di Marie Falconetti
ad essere
le figure filmiche dominanti dei primi piani
: gli occhi che oscurano, o illuminano,
il suo volto dai lineamenti dolcissimi nella misura in cui l’angoscia, o la speranza contro ogni
speranza, si alternano in lei. Il bianco e il nero, colori rarefatti e metafisici, non ci consentono-
ovviamente di conoscere il colore dei suoi occhi ma imprimono in essi una pregnanza mistica
e attonita di una straord inaria intensità. Questi occhi, che talora dilagano solitari sullo scher-
mo, riescono a fare riemergere ogni possibile emozione: che si riflette in noi, che dal grande
regista siamo trascinati ad immedesimarci nelle loro vertiginose alternanze emozionali.
L’assenza delle parole, certo, li rende ancora più strazianti e più ebbri di una vita che Giovanna
d’Arco sacrifica con slancio temerario e angosciante: temendo la morte, e non potendo nondi-
meno rinunciare agli ideali, e agli orizzonti di senso, della sua missione: della missione che
sentiva, e viveva, come cosa più importante della vita.
( L’angoscia che dilaga negli occhi di Giovanna nella straziante scena del taglio dei capel-
li; e la indicibile angoscia dei suoi occhi, pietrificati in attesa della morte, quando le fiamme
stanno divorandola )[...]
Gli occhi, gli occhi, disperati e lacerati, sommersi dall’atroce sofferenza e trasfigurati dalla
speranza, ci inseguono nel corso del film e non ci abbandonano quando il film finisce. (
Il lin-
guaggio del corpo vivente, del corpo che vive e ama, sembra talora sconfiggere nelle scan-
sioni tragiche della vita e della storia il linguaggio delle parole: incapaci a volte di tra-
smettere il senso dell’indicibile e dell’inesprimibile
)...”.
Eugenio Borgna
1
Dal film
La passione di Giovanna d’Arco
di C.T. Dreyer