fuori di se stesse, esprimendo tuttavia nello stesso tempo così tanto, che è impossibile coglier-
ne il significato complessivo. Cioè, l’immagine in esso corrisponde tanto più esattamente alla
propria destinazione, quanto più impossibile risulta farla entrare in qualunque forma concettua-
le e intellettuale. Chi legge la poesia
haiku
deve dissolversi in essa come ci si dissolve nella
natura, sprofondarsi in essa, perdersi nelle sue profondità come nel cosmo dove non esistono
né basso né alto. Ecco, ad esempio, uno
haiku
di Basho.
Un vecchio stagno.
Una rana è saltata nell’acqua.
Uno sciacquio nel silenzio.
Oppure:
Hanno tagliato del giunco per un tetto.
Sulle canne dimenticate.
Cadono morbidi fiocchi di neve.
Ed eccone un altro ancora:
Da dove viene improvvisamente tanta indolenza?
Oggi sono riusciti a stento a svegliarmi…
Sussurra la pioggia primaverile.
Quale semplicità, quale precisione di osservazione! Quale disciplina dell’intelligenza e
quale nobiltà dell’immaginazione! Questi versi sono stupendi per la irripetibilità dell’istante
afferrato e fermato che cade nell’eternità.
I poeti giapponesi erano capaci di esprimere in tre righe di osservazione il proprio rappor-
to con la realtà. Essi non si limitavano ad osservarla, ma senza agitazione e senza inquietudi-
ne ne ricercavano l’eterno significato. Quanto più esatta è l’osservazione tanto più essa è unica.
E quanto più essa è unica, tanto più è vicina all’immagine. Dostoevskij a suo tempo affermò
con straordinaria esattezza che la vita è più fantastica di qualsiasi invenzione della fantasia!
L’osservazione è tanto a maggior ragione la base dell’immagine cinematografica, la quale
inizialmente è collegata alla raffigurazione fotografica. L’immagine cinematografica prende
corpo in una quarta dimensione avvertibile dall’occhio. Ma, cionondimeno, non ogni fotogra-
fia cinematografica può pretendere di dare una qualche immagine del mondo: il più sovente
essa ne descrive soltanto la concretezza. La registrazione naturalistica dei fatti è del tutto insuf-
ficiente a creare un’immagine cinematografica. L’immagine nel cinema si fonda sulla capaci-
tà di FAR PASSARE per osservazione la propria PERCEZIONE dell’oggetto. [...].
Prendiamo il
Ritratto di giovane donna con un ramo
di ginepro
di Leonardo, che ho impiegato nel film
Lo
specchio
nella scena del breve incontro del padre, tor-
nato dalla guerra, con i propri figli.
Le immagini create da Leonardo colpiscono sempre
per due motivi. In primo luogo, per la straordinaria
capacità dell’artista di guardare gli oggetti dal di
fuori, dall’esterno, mettendosi da una parte, quello
sguardo al di sopra del mondo che è proprio di artisti
come Bach o Tolstoj. E, in secondo luogo, per il fatto
che in queste immagini viene contemporaneamente
percepito anche un secondo e opposto significato. È
impossibile esprimere la sensazione finale che questo
ritratto produce su di noi.
È persino impossibile dire con sicurezza se questa
donna ci piace o non ci piace, se è simpatica o sgrade-
vole. Ella ci attira e ci ripugna. In lei c’è qualcosa di
inesprimibilmente bello e, nello stesso tempo, di ripu-
gnante, di diabolico ma di diabolico tutt’altro che nel
senso attraente del romanticismo. Semplicemente
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Foto di
Anna Rita Curzi
Leonardo, ritratto di
Ginevra de’ Benci