CINEMA RITROVATO
Può sembrare un paradosso ed è frutto invece di un’attenta valutazione il nostro convinto pare-
re che la capitale del cinema in Italia, intesa come centro nevralgico, polo strategico, conden-
sato di esperienze storicamente significative, non sia Venezia – nonostante l’aura che la circon-
da – e non sia neppure Roma con la
Festa del Cinema,
per quel tanto di pur geniale improvvi-
sazione che l’ha penalizzata all’esordio e ne rallenta ora lo sviluppo; ma sia Bologna la “dotta”.
E questa, dopo avere inaugurato la gloriosa stagione delle università medievali, ed avere ospi-
tato in tempi prossimi a noi la cattedra di Italianistica di massimo prestigio, con il Carducci e
i suoi successori, promuove oggi – con la
Cineteca comunale
– la più moderna ed efficiente
macchina di studi, conoscenze ed esperienze di cinema che si possa desiderare.
A Bologna sono di casa scienza e passione, con una inclinazione verso i bisogni culturali dei
giovani, che la ringiovanisce, con tanta ricchezza di iniziative e di idee. Ne discende per noi
l’impegno a parlarne all’occasione, cominciando dall’evento principe che risponde al nome di
Festival del Cinema ritrovato
: che vede come
partner
di spicco la Mostra Internazionale del
Cinema libero, e come elargitori di sostegno e contributi la Direzione generale del Cinema, la
Regione Emilia-Romagna, la Fondazione Teatro comunale, il laboratorio “L’immagine ritrova-
ta” ed, ultima se non prima, l’Università di Bologna “Alma Mater Studiorum” – Dipartimento
di Musica e Spettacolo.Per non rischiare possibili omissioni, ci teniamo per questa nostra scar-
na cronaca alla traccia fornitaci da Peter van Bragh, che di Cinema ritrovato è il benemerito
direttore artistico. Una traccia che vede all’esordio il cinema muto, come da tradizione, e nel
suo ambito i film giunti alla ricorrenza del secolo: curatrice Marianne Lewinsky. Tra le pelli-
cole proiettate, figuravano quelle facenti capo al gruppo coevo del “Film d’Art”, ossia della
società d’oltralpe propostasi al suo tempo di affidare a noti scrittori ed ai più celebri attori della
scena francese, l’incarico di scrivere i soggetti e interpretarli per il cinema. Il ruolo di punta era
quello attribuito a L’assassinio del Duca di Guisa, diretto da Charles Gustave Le Bargy e André
Calmette, sulla base di uno scenario firmato da un folto gruppo di attori della Comédie
Française. Musiche originali di Camille de Saint-Saëns, eseguite da un’orchestra di sala.
A fare da corona a quest’ultima proiezione: Le Ballet mécanique di Fernand Léger, Entr’acte
di René Clair, Lichtspiel Opus 1 di Ruttmann, Motion Painting N. 1 di Fischinger.
I tesori del muto delle origini erano integrati dalla retrospettiva curata da Denis Lotti, dedica-
ta a Emilio Ghione, figura di rispetto fra gli storici pionieri del cinema nostrano. Il repertorio
proiettato, ricco di suggestioni decadenti d’ impronta gotica, comprendeva Za la mort e I topi
grigi.
La consueta retrospettiva a carattere nazionale era quest’anno dedicata ad uno dei padri puta-
tivi del cinema sovietico, Lev’ Kulešov, suo primo teorico di vaglia, degno per meritato giudi-
zio di figurare accanto all’icona di quel cinema, il ben più celebre – per motivi di fortuna –
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