a Roma, che la superba ellisse disegnata in tarsia trasforma illusivamente, da trapezoidale qual
è, in rotonda.
XI
– I grigi asfalti sono buoni come sfondo, e come fondo, al rotolare delle macchine. Utili,
ma in senso solo pratico-economico, non per lo sviluppo e l’affinarsi dell’umano.
XII
– Una parte preponderante della percezione spaziale è data dalla grana delle superfici: levi-
gata... o ruvida, ombreggiata... o liscia e refrattaria... o calda, porosa... o inerte, aspra.
Una superficie disegnata a motivi geometrici comunica il senso dell’ordine, ma una figura
umana che vi passasse davanti non ne avrebbe il giusto risalto.
L’impiego di materie e di disegni esotici crea una pausa fiabesca nella solida prosa di un tes-
suto urbano comune ed uniforme.
XIII
– Scultura applicata, rilievi protési e straripanti, luce-ombra di aggetti e di incavi per
influenzare lo spazio nel senso del ricco, del pieno, del sontuoso.
Il bianco, l’assenza: marmi levigati, sensazioni funerarie.
Ma neppure la sovrabbondanza stimola percezioni vitali.
Importanza del colore: ma un tenero rosa in un contesto opaco e contrastante non induce a sensi
di levità e di grazia.
La lebbra del colore e dell’intonaco è anche lebbra sociale.
Colori vivaci e assortiti provocano sensazioni robuste. Ma il problema è di superare ogni con-
cezione atomistica dell’edificio, di curarne l’inserimento estetico e storico in una visione coe-
rente, programmata.
XIV
– Edifici-luce, grazie all’impiego di materie lisce e riflettenti: soluzione ideale, quando
l’arte del costruire integri una natura corretta e indirizzata dall’uomo con vivido senso poetico.
XV
– Una scala non è soltanto una scala: ampia od angusta, bella o brutta, ma un raccordo tra
due livelli. Il raccordo non può essere soltanto fisico. In linguaggio tecnico, urbanisti-
co–architettonico, le scale sono accenti. Come a dire: aggettivi in una frase.
Accenti sono anche i rilievi e le sculture applicate alla parete di un edificio. Ma gli aggettivi,
insegna la grammatica, per qualificare o determinare il nome a cui si riferiscono, esigono l’ac-
cordo.
XVI
– La quantità di luce che penetra da una finestra condiziona l’interno. Ma, all’esterno, la
finestra modifica e corregge lo spazio urbano, come qualsiasi altro accento: cornice, medaglio-
ne, mensola, festone, fregio, modanatura che sia.
Il gioco delle sporgenze trasforma le scatole murarie degli edifici in veri e propri pannelli di
scultura in altorilievo.
E tuttavia, pur non potendosi negare al balcone un valore anche esornativo – l’ultimo a soprav-
vivere nel clima contemporaneo di austerità per l’ornato – il balcone dovrebbe serbare almeno
una memoria della sua funzione primaria, di loggia protesa su uno spettacolo scenico. Il balco-
ne stenditoio o ripostiglio per le scope è utilissimo alla famiglia, ma solo perché questi servizi
non sono stati previsti altrove.
Quando il verde e la pietra si equilibrano, il balcone diviene il ponte attraverso cui la casa si
protende verso la natura che, a sua volta, aspira con i suoi vertici arborei a penetrare la casa.
XVII
– L’oleandro e il casamento: proposta di mediazione per chi debba programmare il verde
per la città.
XVIII
– È giusto oltre che fatale, che ogni epoca arrechi alla città la sua impronta. Tuttavia, il
problema teorico e pratico della continuità storica tra i successivi apporti non interessa soltan-
to il gusto e l’estetica, ma tutta la vita dei quartieri cittadini, nei loro aspetti funzionali e socia-
li. La nostra sequenza, nel testimoniare di alcune discontinuità tra le più vistose, non propone
soluzioni, ma solo stimoli alla riflessione.
Il lampione di ferro di una volta poteva gareggiare con il fusto e le fronde d’un palmizio, come
con qualunque altra forma della natura o dell’arte.
Oggi, le moderne tecnologie delle materie costringono i progettatori ad una desolata uniformi-
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