La cupola e il loggiato del matroneo
L’altra direzione è verticale: mira alla cupola, e l’ascesa rende in concreto le proporzioni.
La cupola incorona il vano centrale senza pesare. Lo fa in concreto, per i materiali leggeri
usati. E lo fa in metafora, secondo le intenzioni di un’architettura poetica che eleva lo spazio
anziché comprimerlo; e rompe le geometrie chiuse per espandersi secondo le suggestioni di
una fuga dal centro, oltre il limite; una fuga che il voluto dinamismo di questa inquadratura
sottolinea.
Il sacello di Vitale
Alla base del vano centrale, in margine, un esiguo bacino, con le tracce di un sommerso altare
quadrangolare, indica il luogo di un sacello già edificato nel sito e in memoria del leggendario
martirio di Vitale. La doppia natura della basilica, che alle funzioni di chiesa palatina accom-
pagnava in origine quelle proprie di un
martyrion
– edificio in memoria di un testimone santo
– , ha in questa fossa la sua conferma.
Fiori, uccelli, acqua di vita: ricomposto, il mosaico pavimentale del sacello esibisce lievi indi-
zi figurati di paradiso.
I resti del pavimento antico
II pavimento dell’ottagono centrale: gli intarsi marmorei di anonimi artisti del XVI secolo non
lo svilirono. Ma l’aguzza geometria dei due spicchi originari – squisita opera musiva del tempo
della fondazione – fa la differenza.
Lieve e lieta simbologia paleocristiana, offerta e sparsa in grappoli ricurvi e variopinti uccelli.
Tra il vano e l’ambulacro
Le esedre, strette e radianti. Nell’atto di separare esse congiungono – rendendoli complemen-
tari – spazi di qualità diversa. E nel chiamare l'ombra, esprimono la luce. Che irrompe dal con-
troluce degli archi elegantissimi, variando con il variare delle posizioni e dell’ora.
I capitelli preziosi, che presi in sé sono pezzi da antologia o da museo, nell’adottare il sopra-
stante pulvino – quasi un raddoppio – contribuiscono a ridefinire lo spazio in verticale.
La più esaltante visione di San Vitale è però quella che coniuga lo spazio con il tempo, in rela-
zione al moto fisico di chi percorra la chiesa, vagando con tutta la persona e non più con il solo
suo sguardo. È la visione che meglio risponde all’intenzione dell’architetto di San Vitale: deci-
so a trasformare un’entità architettonica complessa ma statica in un qualcosa di perennemente
mobile che esalti, alternandoli, il mistero dell’attesa e il mistero della rivelazione.
Il presbiterio
Attesa e rivelazione soprattutto del sacrario, crogiolo di gemme colorate e splendenti, a comin-
ciare dal mosaico dell’arcone: tondi con busti di Cristo e degli Apostoli, più i santi Gervasio e
Protasio, presunti figli di Vitale.
I peducci incrostati di mosaico, i capitelli lavorati a giorno, i sottarchi tempestati di stucchi, i
pulvini con tracce di colore annidate tra simboli figurati, sono solo il preludio.
La polifonia distesa è quella che l’intera parete intona. Scultura, pittura e architettura – inte-
grandosi – convergono a un fine solo: togliere peso alla materia.
Comporre su di una parete ridotta e irregolare un compendio biblico e dottrinale come questo
non fu, però, minore impresa. Gli artefici del presbiterio ebbero il loro merito anche solo nel
disporre in visione simultanea la sequenza narrativa dell’incredula Sara, di Abramo che all’om-
bra della quercia imbandisce la tavola, degli angeli a mensa. E, infine, del giovinetto Isacco alla
mercé del padre Abramo. Ma la mano di Dio lo scampa dal sacrificio.
Abilità non minore mostrano gli artisti (altri o gli stessi) nel far posto, nel ritaglio della lunet-
ta, al Geremia che svolge il rotolo delle profezie.
E sopra la chiave dell’arco due angeli in volo, affrontati, sostengono il clipeo crociato.
Figurativamente, è il punto di equilibrio che precede sul versante di destra un Mosè sul monte
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