IL MAUSOLEO DI GALLA PLACIDIA
Santa Croce – quanto della chiesa del V secolo oggi la perpetua – vigila dall’alto sul sacel-
lo noto come il Mausoleo di Galla Placidia, che mai però vi fu deposta: unico indizio monu-
mentale (ma sono aperti promettenti scavi) di quello che fu il nesso organico tra i due edifici,
quando il sacello integrava, ad uno dei capi, il nartece di Santa Croce. La croce latina, le pro-
porzioni ridotte collocano il sacello entro un genere e un tipo. Ma tutto al suo interno è unico,
predisposto a durare oltre il tempo; monumento di religione e d’arte, forse, come nessuno.
L’impressione più forte, per chi indugi sulla soglia del mausoleo, viene dalla sua tonalità tur-
china: dominante sui verdi, sui rossi, sugli ori ed i bianchi, che ne punteggiano scintillando la
superficie.
Nulla si sa – solo supposizioni leggendarie – dei tre sarcofagi. Che sono però, nella loro col-
locazione non casuale, indizio forse postumo di una probabile destinazione funeraria, attiva fin
dall’inizio. Com’è ribadito, d’altronde, dai simboli nel sacello.
Rara è data una così assoluta compenetrazione di colore e di spazio. Tanto da potersi non
solo dire che lo spazio vive nel colore; ma che lo spazio, tutto lo spazio in ogni sua curva o
superficie, in ogni sua sporgenza o cavità, è il colore. Ma quando si dice colore, nulla ancora
si dice della fantasmagoria luminosa del mausoleo: della sua capacità – sono parole dello scrit-
tore francese André Frossard – di “
riassumere tutte le immagini, tutti i colori e tutti i pensieri
possibili
”. Un carattere di questi mosaici è il variare dell’immagine dall’astratto al figurativo:
com’è di questi cervi che si abbeverano ad una fonte esterna.
Le figure convivono senza scarti apparenti con la geometria delle greche, da ambo i lati del
transetto. L’effetto è illusivo. Viene alla mente quel che diceva Platone, nel
Filebo
, della bel-
lezza in sé di simili motivi astratti.
L’apice del figurativo è nelle lunette: nelle minori in basso; nelle grandi e alte del tamburo
della cupola, con i candidi Apostoli in coppia.
Non presentano dubbi gli emblemi degli Evangelisti. Ne presenta invece il riconoscimento
degli Apostoli. Ma altre, più avvincenti esperienze di lettura esige l’immagine in sé. Non basta
dire se quel bianco che si aggruma sia la veste di Paolo o di Pietro; se quella linea di contorno
sia tardo-antica piuttosto che bizantina. Ma in che cosa consista quella luce, sì; e come essa si
collochi nell’economia dei ritmi che governano la visione.
Accade così che non ci si accontenti di ridisegnare mentalmente l’immagine. Poiché il dise-
gno diviene qui il meno, con i suoi forti contorni o il solco delle pieghe. È l’estro del mosaici-
sta a prevalere. Giacché la cellula del mosaico – la tessera vitrea – nella sua singolarità di
forma, di colore, di giacitura diviene il fattore decisivo della luce. E concorre così a creare quel
senso di irrealtà fantastica, di materia incorporea, di notturno mistico, a cui neppure la più natu-
ralistica di queste immagini, trasfigurandosi nel mosaico, si sottrae.
Con grazia già a noi più vicina per antica familiarità di accenti, nel clima d’infanzia pecu-
liare di questa stagione cristiana, l’artista del mausoleo addensa nel colore (oro e porpora delle
vesti, candore di agnelli) un Buon Pastore tra le sue greggi. Sommessa, giunge la nota di un
remoto Orfeo, fattosi cristiano.
Nella lunetta opposta, tradizione e giudizio storico concordano nel riconoscere il santo mar-
tire Lorenzo con gli strumenti del martirio. La scena è realistica, per quel che il termine vale in
un tal genere di pittura. Nondimeno, il santo è ritratto fuori dello spazio della storia, fuori della
misura del tempo: nel passo che nulla trattiene – nell’espressione severa – deciso a riscattare
l’onta del supplizio patito. Figura eroica e idealizzata, se mai ce ne fu. Al punto da far dire a
qualcuno – voce inascoltata nel deserto, ma non per questo meno decisa – che non di Lorenzo
si tratta, nel mosaico di Galla Placidia; bensì del Cristo medesimo, tornato a noi nel giorno del
Giudizio.
COMMIATO
Una luce notturna che vibrando diviene infinita. È questo il messaggio che milioni di minu-
scole pietre lucenti, animate da mani di artisti, costruiscono nel Mausoleo di Galla Placidia.
Altri – gli Etruschi, i Greci – hanno allestito tra le pareti del sepolcro giochi, danze, conviti.
Nessuno, come a Ravenna, ha tentato l’impossibile: dare l’immagine diretta – non solo allego-
rica – della realtà ultima, assoluta. Ed è messaggio che ancora tocca i nostri cuori.
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