Montecchio Maggiore,
Villa Cordellina
“Tutto spirito e foco” è da giovane il Tiepolo per i contemporanei. Ma l'infuocata fantasia non
lo abbandona nemmeno ora che si avvia ai cinquant'anni. Né lo distrae, anzi lo aiuta, il consi-
glio dell'amico Francesco Algarotti, lo scrittore veneziano che ha innsegnato la fisica di
Newton alle dame del tempo.
Un sospetto di ironia balena qua e là. Ma tutti nell'affresco (dalle belle donne del vinto Dario
ad Alessandro Magno) sono solo controfigure della storia, personaggi da melodramma. Alla
magia della finzione scenica il Tiepolo aggiunge la sua: la magia di rendere in pittura la descri-
zione che l'Algarotti ha dato del prisma di Newton: che rinfrange un fascio
di raggi rossi, dorè,
gialli, verdi, azzurri, indachi e violetti
. Anche il Tiepolo ha scoperto, per esperienza, le sette
vite della luce.
“Sogni e favole io fingo”: così suona un verso di Pietro Metastasio, poeta per musica e teatro
contemporaneo del Tiepolo. Parole sintomatiche di un'arte di vivere nell'immaginazione, evi-
tando nel sogno gli urti della realtà. L'aristocrazia veneziana del Settecento, frequentata dal pit-
tore, eccelle in quest'arte. Ogni occasione è buona per coltivarla: anche il compito di tradurre
in figure allegoriche la nobiltà d'animo del padrone di casa.
Ma posti di fronte a questa
Continenza di Scipione
– che rende al vinto principe Aluccio la futu-
ra sposa e gli oggetti dati in pegno – si sente essere altra, per il Tiepolo, la ragione della scel-
ta. Si sente che il miraggio della favola, in lui, è il solo adatto a liberare la carica visionaria di
una fantasia creativa e illusiva, venata di amabile nostalgia. Solo così egli può fare, di un cor-
teo in vesti cinquecentesche, organizzato fuori del tempo e della storia intorno all'altera bellez-
za di una donna, il lievito di una poesia ottenuta con i mezzi della pittura.
Quel tanto di non risolto che è negli affreschi parietali di Villa Cordellina scompare nella volta.
Dimentico per un momento di costrizioni allegoriche, il Tiepolo fa dell'abbraccio di due ado-
lescenti (forse Scienza e Sapienza o Nobiltà e Virtù) uno dei suoi pezzi di bravura, affidando il
il suo estro a quei percorsi tortuosi e avvolgenti del pennello, a quei piani obliqui d’ombra o di
luce, in fuga.
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