IL TESTO E LA SCENA DEL FILM
I LUOGHI DELLA MEMORIA SCRITTA
I. I LIBRI DEL SILENZIO
Miniature con monaci intenti a scrivere
La frequenza con cui negli antichi codici manoscritti compaiono – in capilettera di squisita fat-
tura, in frontespizi ornati – figure di monaci curvi sui banchetti, e immagini documento di quel-
la che fu la paziente arte di vergare i libri a mano, è segno dell'attitudine di quegli scribi e
miniatori: i quali, nell' atto di recuperare alla memoria un passato degno, lasciavano anche – di
foglio in foglio, tra rigo e rigo – memoria di sé, della propria umile passione, delle tecniche
manuali esperte e irripetibili in cui si erano esercitati.
E se tutto nasceva per la fede in un clima di fede – nella luce del libro per eccellenza, la Bibbia
– assai per tempo il recupero dei testi antichi valse a dare ai monaci un più appropriato con-
trollo della lingua, come strumento di verità da salvare e tramandare.
Queste sono immagini del celebre
Libro di Kells
, dunque irlandesi.
Negli ambienti monastici di quell'isola, si manifestò primamente la tendenza al recupero, sia
pure frammentario, della cultura di un passato già consegnato alla scrittura. E dall'Irlanda si tra-
sferì in Italia, a Bobbio, con San Colombano.
Da Nonantola, invece, questi tre manoscritti, oggi alla Nazionale di Roma: IX-XI secolo. Fu
infatti quell'abbazia, con Bobbio, a mostrarsi presto aperta alla nuova arte scrittoria.
Da Bobbio, anche, le prime testimonianze di un mobile per libri: un' «arca». E di un vero e pro-
prio
armarium
numerato dà notizia un codice della Nazionale di Roma.
Esterni e interni dell’abbazia di Montecassino
Qui, il discorso si salda con l'abbazia di Montecassino – più volte distrutta, sempre risorta – e
che si mostra a noi nell' «anacronistica», ricostruita veste cinquecentesca. Vedremo fra poco
come siano, soprattutto, i preziosi codici manoscritti a costituire il pegno della continuità abba-
ziale. Per certo, gli spazi cinquecenteschi non serbano nulla dell'impronta originaria.
Montecassino oggi è solo la fedeltà a un nome e ad una tradizione di santità e di cultura. La
sua architettura, laboriosamente recuperata in questi ultimi decenni nelle sue linee tardo-rina-
scimentali, è piuttosto un'architettura celebrativa: una nobile astrazione monumentale.
Un angolo della imponente costruzione circoscrive, tuttavia, la mole della «torretta», nucleo
della fondazione di Benedetto. Al suo interno, i resti di mura primitive – in quella che i mona-
ci chiamano oggi la «cella di San Benedetto» – ci riportano lembi di memoria viva; e favori-
scono anche mentalmente, con l'aiuto del cuore, un ritorno al santo, alla meditazione interiore,
all'orazione. Una statua quattrocentesca di Benedetto restituisce con maggiore approssimazio-
ne un clima, che i moderni spazi architettonici non sanno più rispecchiare.
I codici antichi
L'esempio e la norma sono nella parola di Benedetto, nella sua
Regula
; che qui si presenta in
un, relativamente tardo, esemplare del primo secolo XI, aperto sulla grande O dell'
incipit
, isto-
riata con il santo seduto in atto di scrivere, avendo avanti a sé San Mauro.
È noto ai pochi che il più prestigioso fra i commenti alla
Regula
sia quello dell' VIII secolo,
attribuito allo storico Paolo Diacono. Un commento di cui l'abate Giovanni I, qui ritratto con
il nimbo quadrato dei viventi, ordinò la copia nel rifugio di Capua. Sulla sinistra della pagina,
l'angelo trasmette all' orecchio del santo la divina ispirazione.
A Ilderico «maestro eruditissimo» (e che di Paolo fu il discepolo e continuatore) è attribuito
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