CONVIVERE, SOPRAVVIVERE, ESPRIMERE
di Vittorio Di Giacomo
A quale, miserevole condizione è ridotto l’od ierno contesto sociale, definito civile – si chie-
dono fra angoscia e allarme giovani e vecchi – se non ad una rissa feroce e senza tregua, ad una
povertà a rischio o conclamata, ad un mutismo ossessivo o coatto? In altre parole: fra le tre
distinte funzioni sociali, capaci di garantire (se in equilibrio fra di loro) l’identità del
cittadino
nella società, ossia: a) la funzione del convivere con l’altro da sé nell’osservanza di una legge
e delle rispettive norme; b) la funzione del sopravvivere nel rispetto del fondamentale diritto al
lavoro; c) la funzione dell’esprimere e dell’esprimersi in libertà di pensiero e di parola,
la
domanda è: sussiste o è negata la rispettiva e irrinunciabile autonomia strutturale?
Domanda che acquista senso e misura, ove si rifletta sul fatto che ciascuna delle suddette tre
esigenze presuppone un autonomo, proporzionale
potere
di sussistere e affermarsi. Ebbene,
basta sfogliare oggi un giornale, ascoltare un notiziario televisivo, porre orecchio anche per
poco a retori e pubblicitari (
megafoni
, sempre, di un potere personale) per desumerne – a spec-
chio – l’infausta immagine di un sé a cui resta, quando resta, solo la nostalgia dei simboli: umi-
liato e travolto da un solo
prepotere
, quello politico, dominante a scapito della asservita cop-
pia dei poteri concomitanti.
A veder chiaro, in merito all’attuale rovinoso squilibrio fra i
tre citati poteri, è stato di recente, con un suo apocalittico
testo – non per nulla intitolato
Simboli e diavoli
– Gustavo
Zagrebelsky, presidente emerito della Corte Costituzionale,
uomo di pensiero e di azione, presidente in carica di
“Biennale Democrazia”: testo pronunciato in occasione del
convegno tenutosi a Torino, al teatro Carignano, dal titolo
“Tutti. Molti. Pochi.”(Compagni di strada, nel corso del-
l’evento, erano fra gli altri Mario Draghi, governatore della
Banca d’Italia, Eugenio Scalfari editorialista e scrittore, e
con un intervento a sé – fra il comico e il serioso – tenuto in
nome dell’immaginario poetico, Roberto Benigni).
A dire di Zagrebelsky, se l’impatto simbolico, “il più sottile
e pervasivo” in sé e per sé, affidato com’è alle arti della
parola e dell’immagine (ma anche “il più debole” a confron-
to con la forza coercitiva del potere politico, e le strette coattive del bisogno) ebbe il suo
momento di gloria nel Medioevo, in nome di una “certificazione divina”, con la susseguente
secolarizzazione della società sono state le altre due funzioni sociali, nell’ordine, a prevalere
con tutto lo svariare delle singole opinioni.
Dalla dottrina passando all’analisi della presente prassi sociale, la domanda che Zagrebelsky
si pone è la seguente:
Chi sono i padroni del mondo simbolico nel quale oggi viviamo?
. La
risposta che egli si dà e ci dà è drastica:
Se ci chiediamo chi muove le parole, le immagini, le
cose che esprimono simbolicamente i valori, le aspirazioni, in genere le idee che plasmano le
nostre società, andremmo probabilmente a cercarli in quel blocco di potere economico e poli-
tico, alimentato dalla invadenza delle lobby ; il blocco dell’attuale capitalismo finanziario,
responsabile del «grande saccheggio dei valori» a cui assistiamo, con la conseguente «com-
penetrazione degli interessi», da cui nascono e derivano a loro volta i modi di pensare, i valo-
ri conclamati e i modelli di comportamento, universalmente egemoni
.
La conclusione da trarne – per quelle che noi deploriamo come le sorti di una cultura vitti-
ma di strategie inesorabili – appare manifesta e innegabile. Da qui l’affermazione di
Zagrebelsky che suona:
La funzione simbolica diventa così una funzione passiva e servente. I
simboli, strumentalizzati, imbrogliano circa il loro senso. Promettono il bene di chi li consu-
ma e invece promuovono il bene di chi li produce
.
Così definita, la diagnosi dell’insigne costituzionalista non lascia gran campo ad una pro-
gnosi aperta alla speranza, che non sia quella, rara, che nasce da un’incrollabile e stoica con-
sapevolezza.
Ma non è ancora tutto: c’è un peggio. Ed è quando il demagogo di turno, in servizio perma-
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Gustavo Zagrebelsky