nica, fino a che punto dobbiamo riferirci alla sua intrinseca
natura, ossia alle sue coordinate spazio-temporali, valutate in
termini di necessità? E da che punto pensiamo invece che
nasca la facoltà di un uso alternativo di quegli stessi mezzi?
La mia opinione è che, nello spazio di libertà eventualmente
concesso dalla natura del mezzo, ulteriori necessità provenga-
no dal suo impiego “culturale”. Che è il frutto a sua volta di
una congerie di fattori psichici individuali e sociali: moda, imi-
tazione, calcolo, inerzia, interesse, persuasione, volontà di
potenza e così via. “Impiego culturale” che, di rincalzo, indi-
rizzerà in un senso piuttosto che in un altro ogni ulteriore ela-
borazione degli strumenti.
Volendo insistere precisando, si valuti attentamente la capacità
d’impatto nell’immediato (e di trasformazione nel tempo) che possiede – rispetto ad una sua
formulazione “naturale” la
visione istantanea e totalizzante
di un evento, che sia stata affida-
ta ad un
medium
di così alta potenza qual è la TV; irradiata per di più in collegamento diretto
con la fonte emittente. Una fonte che il pubblico avverte come indefinita e anonima, anche
quando si identifichi in ben riconoscibili personaggi; non solo, ma anche come onnisciente,
onnipotente e ubiqua. La ricezione di un tale messaggio, in condizioni percettive alterate rispet-
to a quelle “naturali” e in un contesto antropologico di proporzioni planetarie – grazie all’uso
dei satelliti – ne risulta radicalmente trasformata.
(continua al prossimo numero)
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