LETTURA CINEMATOGRAFICA DELLE OPERE D’ARTE
di Giulio Carlo Argan
( III ed ultima parte )
Abbiamo indicato altre volte che il processo ricostruttivo della genesi della forma artistica
(se naturalmente può essere più o meno persuasivo e criticamente corretto secondo la sensibi-
lità e il grado di cultura del regista) è (comunque) sempre favorito dalla stessa tecnica della
ripresa cinematografica.
Un’analisi, del resto in parte già condotta, delle originarie relazioni tra la «visione» del cine-
matografo e la «visione» figurativa propria dell’arte moderna dimostrerebbe facilmente come
alla base della rappresentazione cinematografica si ritrovi un’esperienza figurativa, e proprio
l’esperienza della pittura dall’Impressionismo in poi: senza una tale esperienza sarebbe stato di
fatto impossibile realizzare, come ogni giorno il cinematografo realizza delle rappresentazioni
in cui lo spazio non è una
costante
, ma una
variabile
o una
funzione
, e cioè non una struttura
a priori o un principio trascendente ma una condizione immanente e inerente all’immagine. Se
la visione cinematografica implica quell’esperienza, è facile intendere come la ripresa cinema-
tografica di un’antica pittura, riconducendola inevitabilmente a un «gusto» contemporaneo, la
ponga automaticamente in condizioni di essere afferrata e intesa in rapporto a un interesse
attuale, ne isoli e riveli gli elementi o i valori che maggiormente colpiscono la sensibilità del-
l’uomo moderno; e, infine, in quanto implica nel suo stesso attuarsi lo svolgimento di un pro-
cesso critico, la consegni allo spettatore, se il termine non sembri offensivo, predigerita. Ecco
perché dipinti che, alle pareti di un museo, vengono ammirati per consuetudine, ma senza alcu-
na partecipazione, dal gran pubblico, riacquistano sullo schermo la capacità di commuovere.
* * *
Come si sviluppa nella tessitura di un film questa possibilità di trasportare nella più attua-
le delle dimensioni, lo spazio-tempo o la quarta dimensione, e quindi di mettere a fuoco con
infallibile giustezza i valori formali dell’opera d’arte? Dei tre tipi principali di film sull’arte
finora realizzati – la biografia dell’artista attraverso l’opera, la ricostruzione del tema narrati-
vo, l’analisi formale dei valori – quale conferisce il massimo d’efficacia al processo critico
in
nuce
, ch’è proprio della ripresa?
Cominciamo col rilevare che la documentazione fotografica delle opere d’arte non è immu-
ne dagli errori e aberrazioni comuni in tema di intelligenza del fatto artistico. Basterà rammen-
tare che in
Thèmes d’inspiration
il regista Dekeukeleire si è affannato a confrontare i tipi fisio-
nomici dei personaggi di Van Eyck o di Breugel con quelli dei contadini fiamminghi, per ren-
dersi conto che anche la critica artistica per mezzo del cinematografo può ricadere nei peggio-
ri luoghi comuni del naturalismo. Non è meno disastroso il preconcetto biografico, soprattutto
quando miri a una giustificazione dell’opera d’arte nel carattere, nelle abitudini, negli atteggia-
menti pratici, nelle preferenze esteriori dell’artista. Film come quel-
li che tramandano la testimonianza viva del lavoro di grandi artisti
contemporanei (p. es.:
Maillol
di Lods;
Matisse
, di Campaux;
Lèger
di Bouchard,
Moore
di Sweeney) costituiscono, e più costituiranno
per i futuri studiosi, un materiale documentario d’incalcolabile
valore, e tale davvero da influire sui metodi critici a cominciare
dalle fonti, ma non si può fare a meno di osservare che il «reporta-
ge» su Maillol, fondato com’è sul
leit-motif
della natura mediterra-
nea, contribuisce piuttosto al discredito che all’oggettiva valutazio-
ne della scultura dell’artista, mentre il «reportage» su
Matisse
,
documentando il processo operativo dell’artista, o la nascita e lo
sviluppo di un’ispirazione non più naturalistica ma formale, forni-
sce una testimonianza del più alto interesse al critico e al pubblico.
Il
Van Gogh
di Diehl, è senza dubbio uno dei migliori saggi di film
sull’arte; segue il filo di una biografia interna, fatta di crisi piutto-
1
v
ang Gogh,
Autoritratto