CineArte on line 2007 - 213 - page 71

dine e lunghezza, possono dare velocità diversa e anche diverso significato. Maestri in questo
campo saranno l’americano David W. Griffith negli anni Dieci e il sovietico Sergej Ejzenstejn
negli anni Venti.
L’uso del tempo
Il cinema è la prima forma di comunicazione a possedere una sua durata prestabilita. Quando
si legge un libro è il lettore a stabilire il tempo di lettura; quando si recita un testo teatrale sta
agli attori scegliere la lunghezza delle pause; anche quando si esegue un brano musicale esiste
un margine di libertà di tempi per il direttore d’orchestra. Quando si vede un film, invece, i
tempi sono stabiliti dal regista; la durata delle singole scene o dell’intera pellicola è fissata e
non può essere cambiata, pena lo stravolgimento del film.
Dovendo fare per sua natura i conti con la durata, il cinema ha imparato ad usare i tempi di nar-
razione in modo innovativo rispetto al teatro. Se nei film dei Lumière il tempo della narrazio-
ne coincideva col tempo della realtà rappresentata (unità di tempo e spazio), con la necessità
di raccontare vicende più elaborate si è cominciato a scorciare o dilatare i tempi reali. Questo
è avvenuto grazie al montaggio, che, interrompendo una inquadratura per passare alla succes-
siva, ha permesso di tagliare i tempi morti dell’azione. Ma sempre il montaggio ha dato la pos-
sibilità, in alcuni momenti, di allungare il tempo reale, inserendo dettagli che frantumano l’uni-
tà di azione in una serie di
micro azioni
. Di solito in un film troviamo entrambi i procedimen-
ti. Altro modo di gestire il tempo narrativo è quello di inserire i
flash back
o i
flash forward
,
cioè interruzioni del filone narrativo principale per raccontare ciò che è accaduto prima o ciò
che succederà poi.
Sonoro e colore
Nel 1927 la Warner Bros. lancia sul mercato
Il cantante di jazz,
di
Alan Crossland. Si tratta di un’opera non eccelsa, ma che segna un
punto di non ritorno: il film parlato. Fu un successo enorme in tutto
il mondo, anche se in realtà le parti sonore di quel film sono solo le
canzoni interpretate dal protagonista Al Jolson, un cantante allora
famosissimo.
Il
sonoro
ha tre elementi fondamentali: i dialoghi, i rumori e la
musica. In molti ritengono che il sonoro abbia impoverito il cine-
ma, facendo diminuire lo sforzo creativo dei registi. Purtroppo si
deve constatare che spesso, anche oggi, il sonoro è solo
un’aggiun-
ta alle immagini visive
, mentre un vero film dovrebbe cercare di
essere
audiovisivo,
cioè una sintesi espressiva tra le due forme
comunicative. Anche il sonoro è immagine ( in quanto riproduzio-
ne di un suono) e come tale dovrebbe essere elaborata per essere significativa, mentre facil-
mente si limita a far dire agli attori quanto l’immagine visiva fatica a esprimere. Il cinema non
è letteratura, né teatro: la parola (ma anche il suono e il rumore) deve fondersi col visivo e
potenziarlo. Tra i primi a capire la novità espressiva del sonoro troviamo Walt Disney (per la
musica), Charlie Chaplin (per i rumori) e Orson Welles (per l’uso delle voci).
Nel 1932 esce il cortometraggio d’animazione
Fiori e alberi
di Walt Disney in cui giungono a
compimento le ricerche che da anni venivano fatte sul colore. È il primo
film a colori
della sto-
ria del cinema, ma a differenza del sonoro, la nuova invenzione non sostituirà mai del tutto il
bianco e nero. Infatti, pur offrendo possibilità enormi di spettacolo e di arte, molti registi anco-
ra oggi preferiscono ricorrere a quella forma astratta
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di rappresentazione data dal bianco e
nero, ottima per creare atmosfere, effetti plastici e drammatici. Tra i primi esempi di uso
espressivo del colore troviamo i musical americani, i cartoni animati e i film di Laurence
Olivier.
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La definiamo
astratta
perché nella realtà non esiste il bianco e nero. Qualunque immagine noi vediamo in b/n ci ricorderà
sempre che è una finzione, una rappresentazione. Il b/n costringe lo spettatore a dover fare continuamente una decodifica per
immaginare quali colori avrebbero, nella realtà, le forme che sta vedendo sullo schermo. Tiene viva l’attenzione e frena
l’immedesimazione.
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