CineArte on line 2007 - 213 - page 77

Il principio nettamente spaziale o formale della prospettiva è assunto come guida per la rico-
struzione del «tempo» del racconto. Sviluppando la narrazione del fatto secondo una rigorosa
intavolatura prospettica, il pittore aveva trasferito allo spazio uno svolgimento temporale.
Contrariamente a quanto avrebbe fatto un pittore del Cinquecento o del Seicento, preoccupato
di render verosimile e fortemente emozionante la rappresentazione scenica, l’Angelico ha col-
locato l’episodio principale (la salma di S. Cosma, il cammello miracoloso che ingiunge al
sacerdote di tumularla accanto a quella dei fratelli) nell’ultimo piano, dove concorrono «scor-
tando» le direttrici prospettiche segnate dalla grande fossa, dalle salme allineate dei martiri, dal
coro degli astanti. Quell’episodio saliente viene così a trovarsi nel «fuoco» dello spazio pro-
spettico, tutti gli altri momenti narrativi non valgono se non in quanto si concludono in quel
momento supremo e finale; e infatti tutte le altre figure, anche se più vicine ed evidenti, non
sono che una guida, una serie di punti di transito, per giungere alla fissità di quell’episodio sta-
gliato nettamente sulla superficie luminosa del casamento di fondo. Il regista ha inteso che la
narrazione, bloccandosi nello spazio invece di srotolarsi nel tempo, si sviluppava qui come una
proiezione dal fondo sul primo piano, una riduzione della profondità alla superficie: ciò che ha
appurato che la poetica storia dei martiri fratelli si era concretata nell’Angelico in termini di
spazio, e che la prospettiva aveva il compito di fissare una successione temporale in una asso-
luta unità spaziale.
Egli non ha perciò individuato il processo cronistico del racconto, ma
il processo formativo o costitutivo della rappresentazione, la genesi della forma: cioè,
malgrado l’intenzione narrativa, è giunto, quasi inconsapevolmente, a un autentico risul-
tato critico.
I registi del film su Rubens sono invece partiti con
un’intenzione esplicitamente critica: i loro schemi
non sono soltanto una indicazione tecnica per la
ripresa, ma mantengono nella stesura finale del film
una funzione dimostrativa. Nella Apoteosi di Enrico
IV il quadro è tagliato da una diagonale che separa i
due gruppi principali delle figure, indicando così che
la composizione si sviluppa per masse ascendenti,
quasi levitanti nel movimento a vortice degli aggrup-
pamenti delle figure; il perno di quel moto è indivi-
duato da due cerchi, dove i gesti sembrano suggerire
l’avvio di una rotazione che si comunica e dilata nelle
masse pittoriche; i due centri sono collegati da una
larga spirale, che suggerisce la continuità, il ritmo
ritornante del giro. Lo stesso ritmo di volute, che si
generano l’una dall’altra, si ritrova nello schema gra-
fico per la Kermesse flamande. È evidente il riferimento, in senso preciso, al concetto wolffli-
niano di «forma aperta»; vi si aggiunge un acuto rilievo sul valore del gesto, che non ha valo-
re finito o assertivo, ma si ripete e continua nello spazio, diventa ritmo di movimento; la con-
tinuità di moto dei gesti si traduce nella continuità della luce, che non è più raggio battente su
uno schermo solido, ma irradiazione o effusione nelle masse pittoriche; l’assenza di contorni
chiusi e di una determinatezza plastica della forma rompe il contrapposto costruttivo di luce e
ombra, e la pittura si risolve in un’altissima palpazione o vibrazione di toni chiari e brillanti,
mentre la forma si spezza nell’abbagliante splendore dei tocchi. Dallo schema compositivo,
che non geometrizza la forma, ma ne indica la genesi in un principio di moto, si giunge così
fino all’esaltazione della calda materia pittorica, al «furor» quasi orgiastico della pennellata:
nessuna sovrastruttura letteraria, nessuna divagazione sul tema, nessuna insistenza commenta-
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P.P. Rubens, Apoteosi di Enrico I V - particolare.
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